La democrazia post-pandemica
4 gennaio 2021
Quando saremo usciti dalla pandemia, speriamo entro pochi mesi nel corso del 2021 (lo sapremo più precisamente osservando l’andamento e gli effetti della campagna di vaccinazioni), che democrazie ci ritroveremo? Quanto diverse rispetto a prima?
Per rispondere a questa domanda, occorre partire dal contesto in cui ha fatto irruzione la pandemia e, poi, vedere l’effetto dei provvedimenti presi per difenderci. Rispetto al contesto, qui semplificando, possiamo evidenziare due fenomeni che dall’inizio di questo secolo hanno cambiato le nostre democrazie.
Il primo è quello che ha fatto parlare alcuni di ‘mondo post-occidentale’ caratterizzato da multipolarismo e un crescente ruolo della Cina con relativi mutamenti dei flussi commerciali e spostamenti di ricchezze dall’occidente verso altre aree, specie l’Asia. Il mondo rimane interdipendente e globalizzato, ma la crescita delle economie occidentali si è notevolmente ridotta e la crisi del 2008 ha ulteriormente accentuato questo fenomeno con una lunga fase di stagnazione o bassissima crescita in Europa, protrattasi fino all’inizio della pandemia (febbraio 2020). Immediatamente se ne sono visti gli effetti nell’aumento delle disuguaglianze in Europa e relativi tagli del welfare, a cominciare dalle spese per la sanità.
Il secondo fenomeno ha toccato il cuore della democrazia, ovvero la formazione dell’opinione pubblica con la rivoluzione digitale che ha creato contemporaneamente enormi opportunità, prima non esistenti, di controllare il comportamento delle persone – Shoshana Zuboff lo ha chiamato ‘capitalismo della sorveglianza’ – e l’ampia possibilità di manipolare l’informazione attraverso l’uso combinato di notizie false e nuovi media, social networks compresi.
In breve, il contesto aveva indebolito sia le condizioni di fondo per la realizzazione dell’uguaglianza e della libertà – ovvero dei due valori centrali sui quali si è fondata la liberal-democrazia di massa – almeno dalla metà del secolo scorso, dopo la Seconda guerra mondiale, sia la realizzazione effettiva di quei due valori.
Quando arriva la pandemia tutti i governi, con poche differenze, prendono provvedimenti che hanno alcuni effetti evidenti. Primo, ancora semplificando, si passa da una situazione in cui il governo era poco presente in economia a una in cui il decisore pubblico è centrale in tutte le attività economiche. Questo con una conseguente forte attivazione delle attività di lobbying, cioè di mobilitazione dei diversi e frammentati interessi di una società complessa, e una forte spinta alla razionalizzazione burocratica, che potrà trovare strade tortuose di fronte alle resistenze a riforme interne.
Secondo, si produce un’inversione di tendenza delle politiche per proteggere la salute e per l’assistenza sociale. Al tempo stesso, vi è minore attenzione alle libertà individuali sotto la spinta dell’emergenza e delle indicazioni sul distanziamento sociale per ridurre l’impatto della pandemia.
Così, da una parte, si va in contro-tendenza rispetto a quanto predisposto dal contesto in quanto vi è maggiore attenzione alla disuguaglianza, soprattutto alle sue forme estreme, affrontando le povertà, e al welfare, con interventi sulla sanità e, più limitatamente, sull’istruzione. Al tempo stesso, dall’altra, si assecondano le condizioni di contesto quando si limitano le libertà e si controllano i cittadini, aiutati dalla tecnologia digitale.
Di questi cambiamenti quali hanno la maggiore probabilità di durare configurando le nuove democrazie post-pandemiche? La risposta più immediata e ovvia riguarda i cambiamenti che sono in coerenza con le condizioni contestuali, ovvero tutto quello che riguarda il controllo dei cittadini nei modi più diversi e indiretti resi possibili dal nuovo capitalismo e dalle tecnologie digitali.
Della domanda di uguaglianza, quella in contrasto con il contesto, rimarrà l’attenzione che già c’era sull’assistenza alla povertà e un po’ di maggiore attenzione alla salute in emergenza, con qualche probabile effetto sulla gestione locale della sanità. Al tempo stesso rimarrà anche la trasformazione avvenuta dello stato interventista in economia, e non semplicemente regolatore, che nel frattempo avrà creato nuovi interessi acquisiti e nuovi strumenti per partiti in crisi trasformativa profonda.
Questo risultato, raggiunto attraverso un forte indebitamento, creerà problemi e conflitto quando riemergeranno le esigenze poste dalle necessità di rientro dal debito oltre alla distruzione di ricchezza per pagare i relativi interessi. Il conseguente ricorso a una qualche inflazione sarà una necessità vitale.
Dunque, in essenza, che cosa caratterizzerà la democrazia post-pandemica? Maggiore controllo politico dei cittadini, coerente con un cambiamento del ruolo dello stato in economia, a costo di più alto debito e probabile inflazione; e aumento dell’attenzione verso settori specifici del welfare, quali sanità e assistenza sociale, necessari e difficili da tenere nel tempo per i condizionamenti posti da un’economia post-occidentale. È qualcosa di non tanto diverso da prima? Lo vedremo solo con il passare del tempo.
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