Lavoro post-Covid e ricostruzione del sistema di welfare
15 gennaio 2021
Verso una reale tutela di lavoratori
Il dibattito intorno al tema del “recovery” investe, ovviamente, anche le tematiche del diritto del lavoro e della sicurezza sociale, dovendo, per un verso, risolversi criticità strutturali (estremizzate dagli effetti della pandemia) e, al contempo, affrontare sfide temporalmente prossime, quale, in particolare, la gestione delle conseguenze del venire meno del blocco dei licenziamenti, al momento prospettato – in forza delle previsioni della legge di stabilità – per la fine del mese di marzo del 2021. Rispetto a tale evento, anche per i rischi di grave frammentazione del tessuto sociale e di tenuta dell’ordine pubblico, è impensabile immaginare che centinaia di migliaia di cittadini possano trovarsi in poco tempo privi di un rapporto di impiego ed è, quindi, opportuno che venga strutturato un modello di intervento degli ammortizzatori effettivamente corrispondente alla concreta situazione delle imprese interessate da condizioni di esubero.
Per le aziende per le quali tale condizione sia transeunte (e si immagina che ciò valga per la stragrande maggioranza delle imprese italiane) sarà indispensabile il mantenimento della garanzia della cassa integrazione, per il momento nelle varie forme, anche in deroga, con cui ad oggi essa è stata erogata. La prospettiva, però, è vedere il superamento dell’inefficiente frammentazione delle integrazioni salariali, in vista di una complessiva riforma che renda, a favore dei lavoratori subordinati, universale ed unitaria la garanzia del reddito in corso di rapporto, peraltro coerente con il carattere del tutto simmetrico delle crisi che nell’ultimo decennio hanno colpito l’Italia. Inoltre, proprio al fine di evitare un pernicioso effetto psicologico da “liberi tutti” derivante dal venire meno del blocco dei licenziamenti, le imprese in questione dovrebbero essere interessate da, già sperimentati, meccanismi di incentivazione rispetto al mantenimento della forza lavoro (il cui costo, peraltro, sarebbero sterilizzato dall’intervento dell’integrazione salariale), prevedendo, in particolare, che all’erogazione di contributi e incentivi (anche derivanti dall’implementazione del Recovery Plan) sia condizionata al mantenimento di una consistente aliquota del personale ordinariamente impiegato. Con riferimento ai lavoratori delle imprese per le quali invece la pandemia abbia reso obiettivamente insostenibile la prosecuzione dell’attività, sarà invece essenziale il rafforzamento dei trattamenti di disoccupazione, tanto con riferimento alla durata della fruizione delle indennità, quanto relativamente alla misura della stessa.
Welfare e disoccupazione
Ma ciò che deve essere rinforzato è, soprattutto, il sistema delle politiche attive, che consentano, anche attraverso opportune misure formative e di riallineamento professionale, il progressivo riassorbimento dei disoccupati nel mercato del lavoro. La reale implementazione delle politiche attive si rende necessaria anche al fine di risolvere le criticità del reddito di cittadinanza, che, proprio con riferimento alla fase dell’attivazione, ha manifestato delle rilevanti e inaccettabili debolezze. In merito, si nota in modo preoccupante il mancato ricorso massivo ai percettori del reddito di cittadinanza per lo svolgimento di lavori socialmente utili, soprattutto correlati a misure di contrasto alla pandemia. Al contrario, dovremmo immaginare questi ultimi impegnati nei controlli del rispetto dei numeri dei passeggeri sui mezzi pubblici, soprattutto nelle fasce di impiego degli stessi da parte degli studenti, o ingaggiati in mansioni d’ordine nella prossima campagna di vaccinazioni, che coinvolgerà milioni di cittadini e rispetto alla quale già si prefigurano forti criticità operative. Ovviamente i modelli di protezione non possono escludere i lavoratori autonomi, che, più di tutti, hanno subito di effetti negativi della crisi derivante dall’emergenza sanitaria. Questa parte del mondo del lavoro va tutelata molto di più rispetto a quanto fatto sinora, sulla base di un meccanismo compensativo alquanto limitato. Ciò è forse dipeso da fattori storici del nostro paese per cui, anche in ragione di forme endemiche di evasione fiscale, abbiamo lavoratori autonomi che non sono in grado di comprovare l’abbassamento del proprio reddito (reale). Ciò non toglie però che, in una fase emergenziale, debba essere assicurata anche la loro sopravvivenza. Infine, il sistema dell’assistenza sociale e, più in generale, del welfare. Sul punto sicuramente non si ravvisa la necessità di nuovi istituti, atteso che quelli esistenti appaiono sufficienti, ma gli stessi vanno riorganizzati, sia in termini di finanziamento, che di platea dei soggetti protetti e di modalità di erogazione dei benefit. La pandemia ha evidenziato, in particolare, una forte debolezza dei sistemi di welfare riferiti a categorie fragili o in cui l’intervento sia funzionale alla conciliazione tra lavoro e vita familiare: basti pensare ai servizi per gli anziani non autosufficienti (gravemente colpiti nell’ambito dei tristemente noti contagi presso le RSA) ed a quelli per l’infanzia. Una debolezza che va, quindi, superata con un vero esercizio di sana ed efficiente ricostruzione, che deve necessariamente essere parte del recovery italiano.
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