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Un centro d’instabilità permanente. Il conflitto tra Renzi e Conte per affrontare l’anomalia a 5 Stelle

Non è facile dare un senso politico a questa crisi di governo. Un po’ perché la politica è diventata merce rara in una sfera pubblica ridotta ormai, come ha ben scritto Stefano Folli, a un teatro di ombre cinesi. E un po’ perché in quel teatro acquistano fatalmente peso le ambizioni personali. Un senso politico, tuttavia, questa crisi ce l’ha: quello fra Conte e Renzi è un conflitto fra due modi opposti di affrontare l’anomalia del Movimento 5 stelle.

Facciamo un rapido balzo indietro di tre anni. Il parlamento uscito dalle elezioni del 2018, frammentato e polarizzato, a maggioranza euroscettica, ha posto fin da subito due problemi, uno generale di governabilità e uno più specifico di compatibilità con gli equilibri politici di Bruxelles (reale o percepita, qui poco importa). Quei problemi potevano essere affrontati o riportando il Paese al voto e sperando nella sua resipiscenza – ma tutti i segnali mostravano che un’ulteriore tornata elettorale non li avrebbe risolti, per lo meno non entrambi. Oppure facendo forza sul naturale desiderio di sopravvivenza politica dei parlamentari per consentire un minimo di governabilità e guadagnare il tempo necessario a ricondurre una parte degli euroscettici a più miti consigli. Il senso storico e politico del secondo governo Conte è stato esattamente questo: l’euroscetticismo leghista è stato escluso e demonizzato così che l’euroscetticismo del Movimento 5 stelle potesse essere addomesticato.

Addomesticato sì, ma come? La linea di Renzi, di fronte al M5S, è stata sempre la stessa fin da quando è stato eletto segretario del Partito democratico: fare, fare, fare, senza respiro e senza fermarsi a pensare, trasmettere al Paese un tale senso di dinamismo da ribaltare la narrazione pentastellata sulla «vecchia» politica e far sembrare loro, i grillini, ammuffiti e immobili. Dall’agosto del 2019, in condizioni molto diverse da quelle della legislatura precedente, Renzi ha pensato di poter riprendere questa strategia: di poter definitivamente disintegrare il Movimento approfittando della sua crisi d’identità e del desiderio di sopravvivenza politica che anima i suoi parlamentari.

Anche Conte è un domatore di grillini. Ma il suo metodo è del tutto differente. È un metodo classico della nostra storia nazionale (come del resto lo è quello di Renzi, basti pensare a un altro toscanaccio, Amintore Fanfani), che da quasi un secolo e mezzo porta il venerabile nome di «trasformismo». Conte non vuole disintegrare il M5S: lo vuole neutralizzare e riassorbire in un vasto schieramento centrista, vagamente orientato a sinistra, politicamente indefinito altro che con etichette generiche come quella europeista. Se l’azione di governo è il principale strumento politico di Renzi, l’inazione di governo lo è di Conte. Rilanci, accordi di legislatura e stati generali sono artifici retorici necessari a legittimare un esercizio di sopravvivenza abile ma largamente fine a se stesso. Il non decidere è consustanziale al governo Conte così come lo è a tutti gli organismi trasformistici: se decidesse, infatti, si qualificherebbe, e se si qualificasse perderebbe la propria ragion d’essere e rischierebbe di esplodere in mille pezzi.

Si capisce allora per quale ragione, nel corso di questa crisi, il Movimento 5 stelle sia rimasto così passivo. A questa tavola politica i grillini non sono commensali ma pietanza. E devono aver capito che più tacciono e rimangono fermi, più agevolano il Presidente del Consiglio nella sua opera infaticabile di fusione degli elementi in un plasma indistinto. Si capisce anche per quale ragione il Partito democratico abbia infine preferito Conte a Renzi: perché non si fida del fiorentino, certo, ma pure perché la soluzione trasformista conviene a un partito diviso in feudi e anch’esso in crisi d’identità. E si capisce perché Berlusconi non abbia invece accettato il gioco di Conte (almeno finora): il bipolarismo, e di conseguenza la possibilità per gli elettori di scegliere il governo quando eleggono il parlamento, resta il lascito migliore del berlusconismo.

Coerentemente, Conte ha coronato la propria strategia con l’offerta di un sistema elettorale proporzionale, il più adatto nelle condizioni attuali a eternare il trasformismo. Per garantire stabilità di governo oggi, si pongono così le basi dell’instabilità permanente di domani. Perché, caro lettore sbalordito da questa crisi che mi hai sopportato finora nella speranza che io te la chiarissi, puoi starne ben certo: se passiamo alla proporzionale, avrai di che sbalordirti per tanti anni a venire.