Conte-Renzi, ragioni e torti di una maggioranza di governo dissipata
26 gennaio 2021
Una maggioranza volatile
Trecentoventuno più 27 fa 348. Centocinquantasei più 16 fa 172. Sono questi i numeri della possibile maggioranza di governo formata da Pd, M5s, Leu e Italia Viva. Sono il risultato della somma dei voti della recente fiducia al governo e delle astensioni di Italia Viva alla Camera e al Senato. Anche tenendo conto che qualche deputato o senatore potrebbe non votare la fiducia nel caso di un governo con Italia Viva, la maggioranza per una soluzione del genere c’è. E sarebbe più ampia di quella cui si sta affannosamente lavorando in queste ore. Perché è stata dissipata ? Quali sono le differenze inconciliabili che hanno portato alla rottura del patto sui cui si reggeva il governo Conte ?
Cause concrete della crisi
Da settimane quello che si sente dire è che questa crisi sia incomprensibile. Non è vero. Il motivo che ha spinto Renzi ad agire è chiarissimo: vuole che il suo partito conti di più dentro il governo. Questo governo è stato fatto quando Italia Viva non c’era ancora. Adesso c’è. E’ un partito che oggi pesa più in Parlamento che fuori. Da mesi non si schioda da un avvilente 3% nei sondaggi. Il Recovery ha offerto a Renzi l’occasione per provare a rilanciarlo. Contando di più al governo spera di contare di più nel Paese. Non si accontenta di un rimpasto. Vuole negoziare la formazione di un nuovo governo. Se non ce la fa starà all’opposizione. Anche così può sperare di rilanciarsi. Sempreché riesca a tenere unito il partito. In tutto ciò, l’interesse del paese c’entra poco o niente. Renzi insegue un interesse di parte. Che piaccia o no, questa si chiama politica. E’ la politica in un sistema debole, popolato da piccoli partiti evanescenti a caccia di voti di nicchia. Ed è chiarissimo anche il motivo che ha spinto Conte a dire di no: non vuole dimettersi. In fondo, come lui stesso ha detto alle camere, ha accettato quasi tutte le proposte di Renzi meno l’attivazione del MES. Quello che non intende fare è dimettersi. Non si fida. Pensa che Renzi punti a una soluzione che lo escluda. E Pd. Leu e M5s lo assecondano un po’ per paura di cambiare lo status quo, un po’ per il desiderio di liberarsi definitivamente di Renzi. E allora avanti con il governo di minoranza in un momento in cui il paese avrebbe bisogno di governi più forti e non di governi più deboli.
Sistema elettorale e necessità di riforme
Su una cosa Conte ha certamente ragione. Invece di doversi occupare di beghe partigiane dovrebbe poter concentrarsi completamente sull’attività di governo. Eppure non si rende conto che questa tara dei nostri governi, di cui lui stesso è vittima, è dovuta a un contesto politico destrutturato in cui partitini e addirittura singoli parlamentari hanno una influenza sproporzionata. Il risultato è che la prima delle riforme istituzionali che ha citato nel suo discorso in Parlamento è la riforma elettorale in senso proporzionale. Come se questa non favorisse una ulteriore frammentazione del sistema partitico. Forse pensa che in questo parlamento possa essere approvata una soglia di sbarramento decente che quanto meno renderebbe il sistema proporzionale meno distruttivo ? Non lo pensa. Ma la proposta la fa lo stesso per cercare di convincere i proporzionalisti che si annidano nelle fila di Forza Italia e dell’Udc. Visto che giustamente le riforme istituzionali gli stanno a cuore invece di ritorno al proporzionale avrebbe dovuto parlare di riforma del Senato. Per l’ennesima volta in questi giorni abbiamo assistito alla spettacolo deprimente di sentire due volte lo stesso discorso del premier, gli stessi interventi dei parlamentari, la stessa replica. Naturalmente non sono questi i veri motivi per differenziare finalmente le funzioni delle due camere. La pandemia, tanto per fare un esempio, dovrebbe aver fatto capire anche ai più scettici la necessità di una camera delle regioni abbinata alla revisione del Titolo V. Ma questa evidentemente non è una priorità. Lo è invece la riforma elettorale. E adesso ? Sembra che Conte cercherà di governare con l’attuale esecutivo di minoranza, nella speranza di arrivare alla maggioranza con altri acquisti fatti sfruttando la balcanizzazione del nostro sistema partitico. Anzi contribuendovi. In alternativa forse tenterà la strada del suo terzo governo ma senza Italia Viva e con una ipotetica ‘quarta gamba’ in gestazione. Questo naturalmente solo se si convincerà di non poter essere sostituito. Pare invece che la soluzione di rimettere insieme la maggioranza dissipata per dare al Paese un governo meno fragile non sia oggi percorribile.
Questo articolo è precedentemente apparso su Il Sole 24 ore, riprodotto per gentile concessione
Newsletter
Articoli correlati
O Conte o voto. L’ipoteca della legge elettorale sulla crisi di governo
27 gennaio 2021
Chi nel Pd e dintorni, nel bel mezzo della crisi di governo volesse continuare a sbandiera il grido “Conte o voto” è bene che ricordi una semplice realtà. Il centro-sinistra oggi è più diviso e frammentato del centro-destra.
18 gennaio 2021
I renziani tolgono la fiducia al governo Conte ma si astengono nel momento in cui il premier va in Parlamento a chiedere i voti. Se l’astensione alla Camera non è decisiva, quella al Senato invece cambierebbe le carte in tavola. Roberto D’Alimonte ci spiega perché anche se dovesse restare in sella il Conte 2 si reggerebbe su una maggioranza fragile e precaria.
Non solo Recovery Plan e task force. La tentazione tecnocratica e i suoi limiti
15 dicembre 2020
Epidemiologi, medici, scienziati, comitati tecnici e task force di economisti e manager: dall’inizio della pandemia da Covid-19, in Italia come in molte democrazie occidentali, si è rifatta viva una tendenza tecnocratica spiegabile, perlomeno in alcuni casi, da motivazioni comprensibili. Tuttavia proprio un’analisi storica della “fascinazione tecnocratica” consiglierebbe una maggiore cautela nel percorrere presunte scorciatoie efficientiste.
11 gennaio 2019
Nonostante tutta la bagarre sulla legge di bilancio e i molti passi falsi dei due partiti di governo, a sette mesi dalla nascita del governo Conte il sostegno a M5S e Lega è ancora tra il 55 e il 60%. Si tratta di un dato straordinario”, spiega Roberto D’Alimonte. I due partiti di governo “sono ancora visti come parte dei ‘noi’ contro i ‘loro’. E questo fa scattare un atteggiamento giustificatorio