La prescrizione cambia le sorti del processo sulla strage ferroviaria di Viareggio. Riacceso il dibattito sull’estinzione di reati lontani nel tempo

29 gennaio 2021
Editoriale Sostiene la corte
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Il caso: l’incidente ferroviario di Viareggio

Lo scorso 8 gennaio la Corte di Cassazione si è pronunciata sui ricorsi nel procedimento penale relativo all’incidente ferroviario avvenuto a Viareggio la notte del 29 giugno 2009, a causa del quale persero la vita 33 persone. L’immane tragedia venne causata dal deragliamento di un treno carico di gpl e dal successivo e devastante incendio che, divampando, inghiottì tutto il quartiere limitrofo alla stazione ferroviaria.L’annoso processo, che ha visto coinvolti trentatré imputati, è giunto, quindi, all’ultimo grado di giudizio, quello di legittimità. Sebbene la procura generale abbia chiesto la conferma di ventitré delle venticinque condanne, la pronuncia della Corte è andata in ben altra direzione. Iniziando con l’analisi del dispositivo, si legge che “dopo indagini inevitabilmente lunghe e complesse, gli organi giudicanti hanno celebrato i dibattimenti in tempi inferiori agli standard previsti dalla disciplina nazionale ed europea”. Al più acuto lettore ciò parrà il preludio, forse inevitabile, di un epilogo quasi scontato, che porterà, alla prescrizione del reato di omicidio colposo plurimo. Si proceda, però, per gradi. La Corte ha, in primo luogo, confermato per alcuni imputati la responsabilità per il reato di disastro ferroviario colposo, facendo seguito alla condanna già inflitta in secondo grado di giudizio, passata così in giudicato. Per altri, i giudici di legittimità hanno annullato la sentenza in “relazione al alcuni profili di colpa”, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, dando così inizio ad una rinnovata fase processuale, senza dimenticare che “per il reato di disastro ferroviario, le condanne al risarcimento dei danni sono state confermate in favore di tutte le parti civili legittimate”, stante quanto recita il dispositivo nella sua parte finale. La decisione della Corte ha anche avvalorato l’esistenza della fattispecie di omicidio colposo plurimo, senza riconoscere, però, la circostanza aggravante riguardante la violazione delle norme di prevenzione sui luoghi di lavoro. Come è noto, l’aggravante in oggetto si qualifica come circostanza aggravante speciale ad effetto speciale con la conseguente applicazione della relativa disciplina che prevede l’aumento della pena edittale superiore ad un terzo. Il non aver riconosciuto l’aggravante ad effetto speciale ha comportato il non aumento di pena e la conseguente prescrizione del reato per gli imputati, ad eccezione di Mauro Moretti, ex amministratore delegato di FS e RFI, il quale aveva rinunciato alla citata causa di estinzione del reato.

Un quesito riguardo l’istituto della prescrizione

La pronuncia di prescrizione comporterà, quindi, la necessità di una nuova valutazione della pena a carico dei ricorrenti che sarà decisa, come da codice di rito, dal giudice di appello. Ciò induce ad un’attenta riflessione sull’istituto della prescrizione che, come già accennato, è causa di estinzione del reato e che si verifica quando non sia stato possibile giungere ad una sentenza irrevocabile di condanna dell’imputato entro un preciso termine individuato dalla legge. Perché si rinunci a punire eventi lontani nel tempo non ha una risposta scontata. Circa la ratio posta a fondamento dell’istituto, non vi è infatti un’opinione unanime. Vi è chi evidenzia presunte difficoltà di acquisizione della prova a grande distanza di tempo dalla commissione del reato, pur non spiegando però il motivo dell’imprescrittibilità di alcune fattispecie di reato di gravità tale da essere punite con l’ergastolo; altri hanno posto l’attenzione sull’affievolimento delle istanze di rivalsa nei confronti del reo; altri ancora hanno evidenziato come la finalità rieducativa della pena venga meno una volta trascorso un lungo periodo di tempo, senza contare la possibilità di far permanere un soggetto sul “filo del giudizio” troppo a lungo. La l.3/2019 (c.d. Riforma Bonafede), che racchiude l’ultimo intervento normativo in materia di prescrizione, ha radicalmente riformato la disciplina in oggetto anche rispetto alla precedente l.103/2017 (c.d. Riforma Orlando), la quale aveva modificato i rapporti tra vicenda estintiva del reato e processo, introducendo due nuovi periodi di sospensione del corso della prescrizione, nello specifico, dalla sentenza di condanna di primo e secondo grado. Lo scopo pareva chiaro: allungare i termini di prescrizione durante lo svolgimento del processo.

Ragionevole durata del processo

La Riforma Bonafede, invece, ha introdotto due macro-modifiche: sono state abrogate le disposizioni in tema di sospensione ed è stata aggiunta la previsione di un blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado o dopo il decreto penale di condanna, fino all’esecutività della sentenza che definisce il giudizio o all’irrevocabilità del decreto penale di condanna. Il termine di decorrenza della prescrizione nelle ipotesi di reato continuato è stato poi posticipato fino al giorno della cessazione della continuazione. Il dibattito sul tema prescrizione non accenna però ad arrestarsi. Ciò imporrebbe, in primo luogo, di non dimenticare l’origine dell’istituto e di calibrare le sue riforme in relazione all’ordinamento penale in cui si inerisce e all’impianto costituzionale. Una lungimirante modifica della prescrizione non può prescindere, infatti, da una sistematica e non solo abbozzata riforma del procedimento penale, con cui, primariamente, si dovrebbe dare attuazione al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, ex art. 111.2 della Costituzione. Del resto, i recenti tentativi di modifica in materia sono stati realizzati in modo isolato e asistematico, creando un più ampio divario fra ragioni del processo ed esigenze di giustizia

L'autore

Ludovica Tripodi è dottoressa in giurisprudenza, cultrice della materia Diritto Costituzionale presso l’Università Luiss, stagista presso la DG MiBACT Educazione, Ricerca ed Istituti culturali.


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