L’Italia non guarda al futuro. Nel Recovery Plan i grandi assenti sono i giovani
31 gennaio 2021
Bruxelles chiama Italia
Lo scorso 22 gennaio, la Commissione europea ha pubblicato le nuove Linee guida che gli Stati membri dell’Unione europea dovranno seguire nella stesura dei loro Piani nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) per accedere al cosiddetto “Recovery Fund”. Tali Linee guida, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere in modo superficiale, non sono un mero “aggiornamento” di decisioni già prese. Leggendole attentamente, si nota un “dettaglio” di cui fin da subito dovrà tenere conto anche il Governo italiano. Nell’accordo raggiunto tra Commissione, Parlamento e Consiglio di Bruxelles di fine anno scorso, infatti, le politiche pubbliche a favore dei giovani non sono più soltanto un obiettivo “orizzontale” del Piano, cioè un aspetto da considerare nel raggiungimento di altri obiettivi portanti, ma diventano presupposto e priorità assoluta del NextGenerationEU e ad esse deve essere dedicato un intero pilastro e non semplicemente una priorità trasversale.Il Governo italiano, che nella prima stesura del suo PNRR ha dedicato un capitolo a “istruzione ed educazione” (la missione numero 4 del Piano Nazionale), dovrà quindi rivedere l’architettura complessiva per tenere conto della priorità attribuita dalle istituzioni europee alle politiche giovanili, intese in senso ampio, quindi dalle politiche attive per il lavoro alle politiche abitative, per fare alcuni esempi. Non si tratta di un maquillage linguistico, considerato che le scelte dei governi nazionali rispetto ai sei pilastri del NextGenerationEU dovranno essere opportunamente qualificate e quantificate, dopodiché – se otterranno un via libera – andranno successivamente rendicontate per essere con quanta più precisione valutate da Bruxelles in corso d’opera.
L’inadeguata ripartizione di risorse
Insomma, le politiche giovanili non potranno rimanere quell’orpello retorico al quale spesso sono state ridotte in Italia, pena il rischio di perdere risorse necessarie alla ripresa del Paese. Numero dei NEET (Neither in Employment or in Education or Training), cioè dei giovani che né studiano né lavorano, numero di laureati, di imprese giovanili, di famiglie giovani che hanno ricevuto aiuti, per fare qualche esempio, saranno i parametri rispetto ai quali verranno monitorate le politiche finanziate nel quadro del nuovo pilastro. Oltre alla necessità di fare bene “i compiti a casa”, il nostro paese ha tuttavia più di un motivo per provare a dare una veste organica alle frammentate misure variamente dedicate ai giovani ora sparse nelle varie missioni del PNRR. Tra queste
1)L’Italia è destinataria di circa 200 miliardi di euro di risorse nell’ambito del NextGenerationEU. La politica continua a sbandierare questo ammontare, sorvolando su almeno due aspetti di non poco conto. Primo punto: in parte questi finanziamenti saranno sotto forma di sussidi (le cosiddette “risorse a fondo perduto”), in parte sotto forma di finanziamenti (leggi: nuovo debito). Secondo punto: il governo italiano ha già destinato 65,7 miliardi di euro di sussidi del Recovery Fund, pari a oltre il 95% delle sovvenzioni a fondo perduto, a copertura di “politiche e specifici progetti già in essere”. Ciò implica che la stragrande maggioranza delle altre risorse dello strumento di ripresa e resilienza – quelle che mancano per arrivare agli oltre 200 miliardi che spettano al nostro Paese – saranno attinte “a debito”. A maggior ragione è necessario subito bilanciare gli oneri generati dal finanziamento di NextGenerationEU, il cui rimborso sarà in capo alle generazioni più giovani, con i benefici che le stesse generazioni potranno trarne
2)Già da anni, ben prima della crisi indotta dalla pandemia, esiste una questione giovanile nel nostro Paese. Il sistema educativo italiano, per esempio, non riesce a trattenere molti dei giovani studenti per svilupparne le conoscenze (nella fascia 18-24 anni, un buon 13,5% di loro non ha completato il ciclo di istruzione secondaria superiore), né a fornire competenze richieste nel mercato del lavoro da enti e imprese (il cosiddetto mismatch), né infine a dare occupazione ai nostri laureati (che in percentuale sono poco più della metà della media europea e che, in maggioranza ultratrentenni, sono ancora disoccupati).
3)La pandemia ha avuto un impatto generazionale asimmetrico, colpendo da un lato le fasce di lavoratori più giovani e dall’altro i comparti produttivi considerati i maggiori bacini di impiego per la forza lavoro giovanile. I NEET, che nel 2019 – secondo l’Istat – si attestavano a 2 milioni, tutti under 30, e che nel terzo trimestre del 2020 sono già aumentati di più di 100 mila unità. Se si considerano poi anche gli under 35, il dato supera le 3 milioni di unità. La pandemia non ha fatto che acuire in modo drammatico questa forma di ingiustizia generazionale.
4)L’Italia già sulla base di precedenti accordi internazionali – come se non bastassero la Costituzione e il buon senso – è chiamata a una politica più oculata verso le sue future generazioni. A fronte di impegni finora perlopiù disattesi, le Linee guida di NextGenerationEU costituiscono un ulteriore avvertimento per la nostra classe dirigente. La strategia del Recovery plan, per esempio, va allineata agli obiettivi fissati da Agenda 2030. In particolare il nostro Paese dovrebbe tenere conto di quei target il cui raggiungimento è anticipato al 2020 come il target 8.6 e il target 8.b rispettivamente: “Entro il 2020, ridurre sostanzialmente la percentuale di giovani disoccupati che non seguono un corso di studi o che non seguono corsi di formazione” e “entro il 2020, sviluppare e rendere operativa una strategia globale per l’occupazione giovanile e l’attuazione del “Patto globale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro”. Sulle future generazioni, stavolta, il governo avrà una scusa in meno per sottoscrivere l’ennesimo patto altisonante da disattendere nei fatti subito dopo.
(L’articolo è una sintesi del Policy Brief n. 02/2021 a cura dell’autore)
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