I figli mai nati dell’era Covid. Perché l’emergenza sanitaria ha inasprito la crisi demografica italiana

1 febbraio 2021
Editoriale Open Society
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Covid-19 e denatalità

La pandemia di Coronavirus inciderà negativamente sull’ammontare delle nascite italiane. È quanto emerge dai risultati di un sondaggio condotto su un gruppo esperti di Demografia raccolti nel rapporto “Demografia e Covid19”. I tre quarti degli accademici intervistati a riguardo prevedono un impatto negativo del Covid19 sull’ammontare delle nascite e sul numero medio di figli per donna, che dovrebbe emergere più incisivamente nei prossimi mesi di quest’anno. Istat ha stimato una riduzione di 6.400 nascite nel periodo gennaio-agosto 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e prevede una ulteriore diminuzione di 10.000 nascite fino alla fine dell’anno 2020. Esercizi di stima condotti a livello globale dal gruppo bancario HSBC suggeriscono un decremento del numero di nascite nel mondo fino al 10%-15%.

La relazione tra crisi di salute e scelte procreative delle coppie

Ci si potrebbe chiedere come arrivi una crisi di salute a influenzare le scelte procreative delle coppie. Tra i vari fattori si possono menzionare gli effetti del confinamento e l’accresciuta ansia per la diffusione del Covid che hanno ricadute negative su libido e frequenza dei rapporti sessuali, ma anche la possibile riduzione dei livelli di fertilità (maschile), un’ipotesi che studiosi di vari paesi (Stati Uniti, Cina e Malesia) stanno attualmente investigando. A questo si aggiungono le difficoltà legate alla riorganizzazione dei tempi di vita e della divisione dei compiti all’interno della coppia e tra le diverse generazioni figli-genitori-nonni, e il senso di insicurezza legato alle incertezze del mercato del lavoro e alle prospettive economiche del paese che inibiva i progetti riproduttivi dei giovani italiani già prima dello sviluppo della pandemia, soprattutto quelli dei giovani con basso livello di istruzione.

I progetti riproduttivi tra rinvio e rinuncia

In un’indagine condotta sui giovani in età riproduttiva di vari paesi europei nel 2020 il 37% degli italiani che aveva in programma di concepire un figlio nel 2020 ha dichiarato di aver rinviato la realizzazione del progetto riproduttivo mentre il 36% ha dichiarato di aver rinunciato completamente all’idea di avere un figlio. In un’ottica comparativa emerge come rispetto agli italiani, francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli siano meno rinunciatari (rispettivamente 17%, 14%, 19% e 29% dichiarano di non avere più in programma una nascita) e più propensi a rinviare semplicemente il progetto di genitorialità o di allargamento della prole (51%, 55%, 58% e 50% rispettivamente).

Uno sguardo alle pandemie del passato

Il posticipo nella realizzazione dei progetti riproduttivi è un ‘classico’ comportamento messo in atto dalle coppie in risposta a crisi economiche. Anche in passato gli shock economici nei paesi sviluppati hanno sconvolto il calendario delle nascite, favorendone il ritardo, a volte recuperato negli anni successivi. Tuttavia, il rinvio si trasforma più spesso in una definitiva rinuncia per le donne nelle fasce di età riproduttive più avanzate. Sotto questo aspetto la situazione italiana appare potenzialmente più seria di quella di altri paesi. In Italia infatti le donne hanno figli ad età mediamente più elevate che negli altri paesi europei (32.1 anni rispetto alla media EU27, pari a circa 30.8 anni; dati Eurostat).

L’aumento del numero di animali domestici

In una situazione di crescente incertezza lavorativa ed economica il progetto riproduttivo viene posticipato in quanto un figlio richiede alle coppie un impegno irreversibile nel tempo. Così nel 2020 mentre il numero medio di figli per donna scende a 1.27 (1.18 se si considerano solamente le donne con cittadinanza italiana), Istat 2020, il numero di animali d’affezione per famiglia sale a ben 1.1 (Rapporto Assalco Zoomark 2020). Una convergenza che fa pensare ad una sorta di meccanismo compensativo affettivo nel breve periodo.

Le ragioni della convergenza dei numeri

La vicinanza tra numero medio di figli per donna e numero medio di animali domestici per famiglia non è così sorprendente se si considera, da un lato, che un animale lo si può ricevere anche alle età 0-14 anni o dopo i 50 anni, quindi all’esterno di quella finestra (15-49 anni) che i demografi usano convenzionalmente per misurare la vita feconda, e dall’altro, che il contingente di donne in età riproduttiva è da decenni in costante diminuzione in Italia. Solamente nel decennio 2008 – 2017 si sono registrate 900mila donne in meno in età 15-49 anni (dati Istat). Un ridotto contingente di donne in età feconda implica necessariamente un ridotto contingente di potenziali nati. È su questo scenario di continua perdita del potenziale riproduttivo che si innescano gli effetti del Covid19, che saranno molto probabilmente negativi per le nascite, ma che risultano positivi per le adozioni di animali domestici. Questi ultimi infatti sembrano aver attutito gli effetti negativi del confinamento regalando una nuova sicurezza affettiva e in alcuni casi anche una più ampia libertà di movimento.

 

L'autore

Maria Rita Testa è Professoressa di Demografia al Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss


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