Due o tre cose che so dei governi tecnici

2 febbraio 2021
Editoriale Open Society
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Ci risiamo. Ogni volta che la politica non riesce a trovare un accordo oppure, come in questo caso, ogni volta che qualcuno non riesce a imporre a tutti che le cose vadano come vuole lui, rispunta il fantasma del governo tecnico.

Perché fantasma? Perché a parole il governo tecnico appare la soluzione a tutti i problemi: libero dagli interessi, dai ricatti e dai veti incrociati della politica, in mano a tecnici competenti e, quindi, in grado di prendere le decisioni migliori per il paese.

A parole, per l’appunto. Quando si vanno invece a fare i conti con la realtà, ci si rende conto che questo ideale tecnocratico si basa su presupposti inverosimili, e su un’illusione che – come ha mostrato Daniele Caramani in un recente articolo sull’ American Political Science Review – presenta moltissimi tratti in comune con il populismo. E non a caso produce, poi, di solito effetti nefasti. Vediamo brevemente perché.

Il principale aspetto inverosimile dell’ideale tecnocratico – un aspetto in comune con il populismo – è la negazione del pluralismo. Già, ma cos’è il pluralismo? Si tratta, semplicemente, del riconoscere che la società è caratterizzata da persone che hanno idee, e soprattutto interessi diversi e contrapposti tra loro. Ci sono progressisti e ci sono conservatori; ci sono datori di lavoro, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi; e così via. Di conseguenza, qualunque decisione che riguardi una collettività è quasi impossibile che sia una decisione puramente tecnica (ovvero una decisione in cui ci sia una finalità condivisa da tutti, e l’unica cosa da decidere siano i mezzi per realizzarla). Sarà invece, nella stragrande maggioranza dei casi, una decisione politica; ovvero una decisione in cui per uno stesso problema esistono diverse soluzioni: soluzioni ispirate da valori diversi tra loro, e che differiscono rispetto ai gruppi sociali che avvantaggeranno e svantaggeranno (sulla distinzione tra tecnica e politica vedi ovviamente Max Weber).

Questo ormai lo sappiamo da millenni. La cosa interessante è che negli ultimi secoli ci siamo inventati una soluzione affascinante a questo problema: la democrazia. Affidando ai cittadini la decisione su chi governa un paese, li si rende – seppur indirettamente – responsabili delle decisioni che verranno prese, di modo che in buona sostanza non potranno lamentarsi, non ricorreranno a proteste violente contro governi illegittimi, e nel tempo impareranno a votare con attenzione: è quello che è successo nel mondo occidentale negli ultimi duecento anni.

Cosa succede, quindi, quando si decide di sospendere questo meccanismo? Alcune cose evidenti:

Affidamento a tecnici di decisioni politiche che non sanno prendere. Il paradosso è che si usano i tecnici per prendere proprio quelle decisioni politiche su cui non sono competenti: un po’ come se, all’epoca, la decisione di sganciare la bomba atomica fosse stata affidata a dei fisici nucleari (che peraltro erano divisi tra loro) invece che al presidente degli Stati Uniti.

Delegittimazione delle decisioni del governo. È inevitabile che le decisioni prese da un governo tecnico a loro volta presenteranno una legittimità molto più bassa, perché i cittadini inevitabilmente non le riconosceranno come prese da un governo rappresentativo del paese.

Deresponsabilizzazione dei politici. Chi decide di far cadere il governo non è sottoposto a giudizio delle urne; e i politici, estromessi dal governo occupato dai tecnici, possono riprendere a fare proclami ideali, altisonanti e irresponsabili, in vista delle prossime elezioni, senza essere vincolati dalla responsabilità quotidiana del governo.

-Deresponsabilizzazione dei cittadini. se questi sanno che tanto poi il governo verrà costruito dal Palazzo anche senza riflettere l’esito elettorale, è inevitabile che non si sentano più vincolati a votare partiti con chiare opzioni di governo, ma si sentano liberi di – anzi incoraggiati a – votare partiti di protesta o ad astenersi.

Complessivo screditamento e indebolimento delle istituzioni e della democrazia. Un quadro in cui politici deresponsabilizzati fanno proclami irrealizzabili e cittadini disorientati sentono di non contare nella formazione del governo è un quadro in cui si indebolisce non solo la fiducia nella politica ma prima o poi anche nelle istituzioni democratiche, che sempre più vengono percepite come un guscio vuoto.

Si tratta di teoria astratta? In realtà, queste osservazioni trovano conferma pensando anche solo alla recente esperienza italiana del governo Monti. In quell’occasione, un chiaro esempio di decisione politica, fraintesa come tecnica, fu quello della riforma delle pensioni. Di fronte alla necessità di rendere sostenibile il sistema pensionistico, c’era da prendere una decisione politica: su chi scaricare i costi della riforma? In assenza delle competenze tipiche della politica (identificare con pazienza i diversi interessi, mediare e costruire il consenso), il governo Monti prese la scorciatoia più rapida: evitare di mettersi contro i potenti sindacati dei pensionati, caricando prevalentemente il costo della riforma su chi ancora non era andato in pensione.

Con il risultato, chiaramente prevedibile, che il tema delle pensioni è stato uno dei principali motori dei due terremoti elettorali che hanno squassato l’Italia nel 2013 e nel 2018. Terremoti che non hanno eguali nella storia dell’Europa Occidentale: mai un partito di protesta (il M5S) è risultato il primo partito nella sua prima prova elettorale, raggiungendo e superando il 25%; e mai un simile partito di protesta nella sua seconda elezione si rafforzava ulteriormente invece di indebolirsi, diventando il principale partito di governo e venendo accompagnato da un quadruplicamento elettorale di un altro partito di protesta, che proprio della riforma delle pensioni aveva fatto uno dei suoi temi chiave.

È molto difficile non mettere in relazione questa eccezionalità italiana con l’altra eccezionalità italiana: quella ogni tanto di decidere di mettere “in pausa” la democrazia per mettere il governo in mano a dei tecnici. In realtà, per fortuna, i casi si contano sulle dita di una mano anche in Italia. Il precedente che tutti citano è in genere quello del governo Ciampi; tuttavia, quello che in molti dimenticano di citare è che quel governo (peraltro con molti politici) nacque in mezzo a una crisi epocale della classe politica, decimata dalle inchieste giudiziarie per corruzione e bersaglio dei lanci di monetine dei cittadini. Non sembra il caso oggi, con un governo che vanta indici di popolarità molto alti, nonostante sia ormai in carica da quasi due anni e sia nel mezzo di una pandemia globale. Di conseguenza, se si pensa che un governo tecnico sia preferibile a un rapido voto a giugno, forse sarebbe meglio pensarci due, tre, quattro volte. E poi forse capire che fare impostare un programma di spesa pubblica di oltre 200 miliardi a un governo privo di legittimazione elettorale sarebbe un rimedio peggiore del male di un voto anticipato.

 

 

 

L'autore

Lorenzo De Sio è professore ordinario di Scienza Politica alla Luiss, e direttore del CISE. Politologo e metodologo, ha insegnato e insegna corsi di metodologia della ricerca sociale – a tutti i livelli – alla Luiss, e li ha insegnati precedentemente nelle università di Firenze e Siena.


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