Recovery e governance, Italia agli sgoccioli
3 febbraio 2021
Debolezza e confusione del governo italiano
Non c’è tempo. Occorre inviare a Bruxelles, entro la fine di aprile, un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che preveda le riforme da fare e gli investimenti da promuovere con i fondi assegnateci da Next Generation-EU (NG-EU). Ma, soprattutto, occorre indicare la governance del PNRR. Poiché la composizione di quest’ultima è stata all’origine dell’attuale crisi di governo, vale la pena domandarsi se c’è una soluzione al problema da essa sollevato. Procedo a punti.
Primo. Il sistema di governo italiano è arrivato impreparato alla sfida pandemica. Quest’ultima ha dimostrato due debolezze istituzionali di quel sistema. La ridondanza del bicameralismo parlamentare e la confusione dei rapporti tra stato e regioni. Per quanto riguarda la prima debolezza, il bicameralismo indifferenziato non poteva seguire i tempi dell’emergenza. Come ha fatto notare Sabino Cassese, il Parlamento ha finito per funzionare a camere alternate (una decisione presa da una camera è stata confermata senza discussione dall’altra camera), rendendo confuso il controllo legislativo dell’esecutivo. L’emergenza ha rafforzato ovunque il potere esecutivo, ma ciò non ha condotto ad una ridondanza del potere legislativo là dove quest’ultimo è rappresentato da un’unica camera con funzioni politiche (come in Germania e in Francia). Per quanto riguarda la seconda debolezza, la confusione tra i poteri assegnati allo stato e alle regioni ha alimentato un conflitto permanente, tra i due livelli di governo, circa la gestione della pandemia. Non poteva essere diversamente, visto che non abbiamo un organo costituzionale per istituzionalizzare la corresponsabilità dei governi regionali nell’elaborazione della politica nazionale. E non disponiamo neppure di una norma costituzionale per rendere possibile il ricorso all’interesse nazionale in casi di emergenza. Anche altri Paesi hanno registrato tensioni tra governo centrale e regioni, ma quelle tensioni hanno potuto ricomporsi o nel centro nazionale (in Francia) o nel Senato di rappresentanza dei governi territoriali (in Germania). Da noi, invece, hanno alimentato l’instabilità.
Frattura tra “pro” ed “anti” europeisti
Secondo. Anche il sistema partitico italiano si è rivelato inadeguato ad affrontare la sfida pandemica. La continua revisione delle leggi elettorali nazionali, gli impatti della crisi finanziaria e migratoria del decennio scorso, l’esplosione del populismo avevano condotto, nelle elezioni del 2018, ad una rappresentanza parlamentare frammentata eppure divisa sulla fondamentale relazione con l’Europa. Se il governo antieuropeo del 2018 aveva condotto il Paese in un vicolo cieco, il governo pro-europeo del 2019 aveva riportato il Paese nella maggioranza europea, un rientro cruciale per avviare la risposta sovranazionale (con NG-EU) alla crisi pandemica. Per affrontare quest’ultima, la frattura sull’Europa ha continuato a costituire l’unico discrimine per ordinare il disordine parlamentare. Però, mentre la Germania e la Francia hanno affrontato la pandemia con maggioranze europeiste chiare, l’Italia ha dovuto affrontarla con una maggioranza internamente frammentata.
Assenza di coesione
Terzo. Nonostante la frammentazione interna della nostra maggioranza europeista, è evidente che il programma europeo di NG-EU non potrà essere gestito allargando quella maggioranza a forze impegnate a denigrarlo. NG-EU non consiste nella distribuzione di fondi europei a livello nazionale, bensì nella promozione di obiettivi di interesse europeo a livello nazionale. Se non si condividono quegli obiettivi, non si possono realizzarli. Per realizzarli, i governi nazionali sono già all’opera per stabilire le politiche da perseguire con il rispettivo PNRR e la governance con cui gestirle. Marco Buti e Oscar Polli hanno mostrato come i governi nazionali stiano adottando due modelli distinti per la governance dei rispettivi PNRR. Il primo, utilizzato dai governi coesi (monopartitici come in Francia o a coalizione ristretta come in Germania), ha collocato la governance del PNRR nel ministero dell’Economia e delle Finanze, anche se quest’ultimo dovrà poi operare in concerto con il premier. Il secondo, utilizzato dai governi di larga coalizione (multipartitici come nei Paesi Bassi), ha collocato la governance del PNRR nell’ufficio del premier, in quanto mediatore degli interessi partitici della coalizione. In Italia, non è possibile ovviamente adottare il modello dei governi coesi. E’ però implausibile adottare anche il modello dei governi di larga coalizione (con il premier che esercita una funzione catalitica), in quanto la maggioranza è e sarà tenuta insieme solamente dall’europeismo, essendo incongruente su altri temi cruciali di politica nazionale.
Un Recovery Cabinet per salvare l’Italia
Quinto. A meno dell’arrivo di un salvatore della patria cui affidare la governance del PNRR (come premier, come ministro dell’Economia e delle Finanze o come presidente di un’Agenzia ad hoc), per uscire dalla crisi occorrerebbe prioritariamente definire la composizione di un Recovery Cabinet per la gestione del PNRR. Si tratta di individuare il gruppo ristretto di ministri, con competenze nel campo del PNRR, coordinati dal premier (primus inter pares), con uno di essi che fa da riferimento alla Commissione europea, che siano l’espressione delle forze parlamentari che sostengono il governo. Solamente dopo aver stabilizzato il cuore della maggioranza con il Recovery Cabinet, si potrà procedere all’assegnazione delle altre posizioni ministeriali del governo. Vista la complessità tecnica del PNRR, sarebbe auspicabile che i ministri del Recovery Cabinet venissero aiutati da sottosegretariati tecnici e che le strutture ministeriali interessate venissero integrate da specifiche competenze esterne (manager con esperienza nella realizzazione di grandi progetti). Insomma, la ridondanza del bicameralismo, la confusione dei poteri territoriali, la frammentazione della rappresentanza continueranno ad ipotecare il nostro futuro per ancora molto tempo. Il PNRR deve invece partire subito. Invece di lamentarci pensando all’Italia di cui avremmo bisogno, sarebbe meglio rimboccarci le maniche per far funzionare l’Italia che abbiamo.
Questo articolo è precedentemente apparso su Il Sole 24 Ore, riprodotto per gentile concessione.
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