I network di ricerca come fonte di innovazione e crescita nelle regioni europee

16 febbraio 2021
Editoriale Open Society
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La letteratura sul contributo dei network di ricerca all’innovazione evidenzia in generale effetti positivi sulle imprese, le regioni e i Paesi che vi partecipano. Tuttavia, gli effetti sulla convergenza non sono univoci in quanto la concentrazione geografica degli spillover di conoscenza può generare una distribuzione sperequata di attività innovative esacerbando le differenze tra centro e periferia; inoltre, la scelta di partner simili per capacità innovativa potrebbe generare network asimmetrici e poco inclusivi.

I Framework Programmes (FP) sono programmi di ricerca e sviluppo tecnologico finanziati dall’UE con lo scopo di favorire l’innovazione e la competitività in Europa. Ci chiediamo quindi: hanno essi svolto effettivamente tale ruolo? E, in particolare, hanno generato network di ricerca virtuosi in regioni con diverse caratteristiche strutturali e diversi livelli di sviluppo?

Indubbiamente la formazione di network di ricerca facilita la prossimità cognitiva tra regioni e favorisce lo scambio di informazioni tra una molteplicità di attori coinvolti nei processi innovativi (imprese, università, pubblica amministrazione) soprattutto quando la prossimità geografica viene meno.

Tuttavia, in presenza di una persistente eterogeneità del percorso di innovazione e di sviluppo tra le regioni europee, ci si chiede se la posizione e le caratteristiche strutturali delle regioni presenti all’interno dei network europei possano spiegare il diverso effetto degli stessi sull’innovazione e sulla crescita delle varie aree. In particolare, si distingue tra aree urbane, caratterizzate dalla concentrazione dei capitali e del potere decisionale economico e politico, dalla presenza di manodopera specializzata e di un settore dei servizi altamente dinamico; regioni in declino industriale dove il permanere di vecchie strutture sociali ed economiche potrebbe impedire la proficua partecipazione ai network di ricerca e; regioni periferiche, che soffrono per la distanza dal centro e possono, tramite i network, accedere agli spillover di conoscenza concentrati territorialmente.

Per potere analizzare gli effetti della posizione delle diverse regioni europee all’interno dei network generati dai fondi europei si sono costruiti a livello regionale due indicatori della struttura dei network di ricerca: un coefficiente di centralità e uno di clustering che riflettono aspetti diversi e complementari di rappresentazione dei network.

Il primo, che permette di identificare l’importanza di una regione all’interno dei network, ha mostrato i valori più alti nelle regioni urbane quali, ad esempio, Île-de-France (Parigi), Madrid e i più bassi in quelle periferiche (ad esempio, Isole Ionie in Grecia, Świętokrzyskie in Polonia) rispetto agli altri gruppi regionali, sia tra i vecchi sia tra i nuovi membri dell’UE. Il secondo, che misura quanto i partner di una regione siano interconnessi tra di loro, evidenziando sia la capacità del network di trasmettere informazioni sia la presenza di legami ridondanti, ha registrato i suoi valori più bassi nelle aree urbane (tra cui il Lazio e l’Attica in Grecia) ed i più elevati in quelle periferiche (Sud-Vest Oltenia in Romania e Middle Norrland in Svezia), in cui il problema dei legami ridondanti non esiste e che necessitano di ricevere nuovi flussi di conoscenza.

Si è, quindi, stimato un modello a due stadi dove la performance economica di una regione dipende direttamente ed indirettamente (tramite l’effetto della posizione nel network sull’innovazione della regione) dagli indicatori della posizione all’interno del network. Le stime hanno evidenziato che differenti gruppi di regioni beneficiano diversamente dalla partecipazione ai network FP. In particolare, le regioni europee che sono centrali nei network di ricerca e quelle che sono circondate da altre regioni al loro interno fortemente interconnesse hanno mostrato un più alto tasso di innovazione e di crescita economica nel periodo esaminato. Gli effetti sono risultati differenziati a seconda della tipologia di regioni: incrementare il grado di centralità ha effetti più forti nelle aree periferiche, mentre accrescere le interconnessioni tra i partner (un più alto indice di clustering) beneficia soprattutto le aree urbane. Ciò sembra indicare che per le aree che sono già al centro di un network di ricerca ciò che conta è il rafforzamento dei legami esistenti, in quanto in esse i vantaggi di una maggiore coesione, fiducia e condivisione dei rischi più che compensano il costo di legami ridondanti, mentre per le regioni periferiche quello che sembra contare è soprattutto il raggiungimento di una maggiore centralità.

I risultati dell’analisi confermano l’efficacia dei programmi finanziati dall’Unione europea nel sostenere, tramite la formazione di network di ricerca, la performance tecnologica e la crescita economica sia delle regioni centrali sia di quelle periferiche. L’eterogeneità dell’impatto dei network nelle varie aree suggerisce l’importanza di calibrare le politiche di sostegno dell’innovazione in Europa e di incentivare la formazione di network che tengano conto delle caratteristiche strutturali delle regioni coinvolte.

 

Gli autori

Daniela Di Cagno è Professore ordinario di Microeconomia presso la Facoltà di Economia della Luiss Guido Carli e Direttore del Centro di Economia sperimentale della Luiss CESARE


Presidenza del Consiglio dei ministri


Agenzia per la Coesione Territoriale


Valentina Meliciani insegna Economia Applicata alla Luiss.


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