Il sud dimenticato. Il Recovery Plan trascura il Mezzogiorno
23 febbraio 2021
Piano Sud 2030
Nella bozza di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, varata dal Consiglio dei ministri del 12 gennaio scorso, alle otto regioni del sud è riconosciuta una priorità orizzontale per “Ridurre i divari territoriali e liberare il potenziale inespresso di sviluppo del Mezzogiorno, massimizzando, nelle Linee di intervento di ciascuna missione (…)”. Nello specifico il documento fa riferimento al Piano Sud 2030, adottato nel febbraio 2020, che invoca il riequilibrio delle risorse ordinarie per gli investimenti senza indicatore di attribuzione, con l’effettiva applicazione della clausola del 34%, rafforzata nella legge di bilancio 2020, ovvero con una distribuzione quantomeno proporzionata agli abitanti delle otto regioni del Sud e l’emersione, nel periodo 2020-22 di maggiori risorse per investimenti al Sud per almeno 7,6 miliardi di euro addizionali. Sempre nella bozza di PNRR, varato dal governo uscente, si legge che “nella definizione delle linee progettuali e di intervento del PNRR, pertanto, sarà esplicitata la quota di risorse complessive destinata al Mezzogiorno, che può valere anche come criterio prioritario di allocazione territoriale degli investimenti previsti” e saranno favorite sinergie e complementarietà fra le risorse provenienti dal Recovery Plan, quelle fornite da REACT-EU (il programma ponte tra la vecchia programmazione 2014-2020 e la nuova 2021-2027), e la quota anticipata del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC)2021-2027”.
Adottare misure aggiuntive
Nelle tabelle finanziarie del piano, tuttavia, risultano identificate soltanto le misure per il Sud finanziate con le risorse del richiamato React-EU per un importo complessivo di 8,7 miliardi di euro pari al 67,4% delle risorse messe a disposizione dell’Italia da questo programma. Tra queste spiccano la “Fiscalità di vantaggio per il lavoro al sud e nuove assunzioni di giovani e donne” per 4,47 miliardi, “Politiche attive del lavoro e formazione e Piano nuove competenze” che al Sud riserva 1,5 miliardi e “Ricerca e trasferimento tecnologico e formazione” che al Sud riservano rispettivamente 1,5 miliardi e 1,31 miliardi di euro e infine “Transizione ecologica nel Mezzogiorno” per 0,8 miliardi di euro Assai più vaga (purtroppo) la programmazione delle risorse per le regioni del Mezzogiorno da finanziare con il Dispositivo di Ripresa e Resilienza (RRP), dove sono poche le misure specifiche che risultano interamente destinate al Mezzogiorno. Anche qui non si superano i 9 miliardi di euro di cui 1,41 destinati a “Alta Velocità ferroviaria e manutenzione stradale”, 2,4 miliardi a “Upgrading, elettrificazione e resilienza al sud” e 2,1 miliardi di euro a “Porti e intermodalità collegati alle grandi linee di comunicazione europee e nazionali e sviluppo dei porti del Sud”.
Una stima complessa
L’assenza di indicazioni sulla concentrazione territoriale è denunciata dallo stesso Servizio Studi di Camera e Senato che nel Dossier DOC.XXVII, N.18 del 25 gennaio scorso precisa che “Il PNRR non reca una ripartizione territoriale delle risorse, per cui non è possibile –allo stato attuale di dettaglio del Piano –definire la quota parte della spesa complessiva che verrà destinata al Mezzogiorno”. Volendo ora provare a stimare quante risorse risultano destinate o destinabili al Sud seguendo le indicazioni dell’attuale bozza di PNRR e del Piano per il Sud al quale quest’ultimo fa riferimento, è possibile giungere alla conclusione che dell’intero pacchetto finanziario di NGEU, pari a 223,92 miliardi di euro, allo stato attuale e se non intervengono rimodulazioni o nuovi indicatori, 86,4 miliardi (tra misure destinate a sud e riserva del 34%) sarebbero destinati a iniziative nel Mezzogiorno, per una percentuale pari al 38% (Stima Fondazione Bruno Visentini).
Concentrazione delle risorse
Nella prospettiva di una rimodulazione del PNRR, auspicata dallo stesso premier Draghi nel suo discorso alle Camere, è dunque necessario poter predeterminare con maggiore precisione e rigore le risorse che dovranno essere destinate alle regioni del Mezzogiorno, individuando anche gli indicatori per monitorarne l’effettiva ricaduta. La soluzione viene offerta dallo stesso Regolamento (UE) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza che all’art 11 determina i criteri di ripartizione delle risorse a fondo perduto esplicitati nell’allegato II e l’Allegato III, il primo dei quali relativo al calcolo per l’assegnazione della prima tranche del 70% e il secondo per l’assegnazione del saldo del 30%. Limitandosi al metodo di calcolo della prima tranche, il riferimento è ai dati relativi al 2019, dunque ante pandemia, relativi a tre indicatori quali il PIL medio pro-capite del paese beneficiario, il numero degli abitanti e il tasso di disoccupazione medio del periodo 2015-2019. Dall’applicazione di questa formula alla realtà italiana, sostituendo gli indicatori rilevati a livello UE27 con quello dell’Italia e quest’ultimo con quello delle macroregioni Sud e Isole, si ricava una percentuale di concentrazione nelle regioni del Sud del 68% (Elaborazione Fondazione Bruno Visentini). In altre parole, ogni 100 euro di sussidi che il RRP destina all’Italia, 68 euro potrebbero essere impegnati nel Mezzogiorno. I motivi di ricorrere a un parametro di etero-compensazione sono numerosi. Eccone alcuni:
- a) il RRP è stato inserito nella rubrica nr. 2 del bilancio dell’UE che ha come obiettivo quello di promuovere la convergenza, sostenendo gli investimenti, la creazione di posti di lavoro e la crescita, contribuendo a ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali all’interno degli Stati membri e prende quindi le mosse dal principio della etero-compensazione, propria della politica di coesione europea.
- b) le risorse di RRP devono essere spese in sinergia con quelle inserire nella programmazione 2021-2027 e quindi è opportuno concentrarle maggiormente dove anche tale programmazione insiste. Aiuta in questo il fatto che le otto regioni del Sud sono interamente ricomprese nelle due macroaree Sud (ITF) e Isole (ITG) classificate a livello di NUTS1 (Nomenclatura Unità statistica) facilitando quindi il monitoraggio europeo per l’attuazione del PNRR.
- c) nella programmazione 2021-2027, ora tutte le otto regioni del Sud dovrebbero rientrare nella tipologia delle regioni in ritardo di sviluppo, beneficiarie quindi del maggiore tasso di concentrazione delle risorse del rispettivo quadro finanziario pluriennale, che nella precedente programmazione era del 52,45%
- d) Tra i criteri di valutazione da parte della Commissione vi è anche l’accertamento dell’effettivo contributo del PNRR al miglioramento alla coesione territoriale e la convergenza (Allegato V del Regolamento (UE) 2021/241).
Ipotesi di risoluzione
In conclusione, applicando la formula indicata nel regolamento RRP le risorse da destinare a Sud, tra sussidi e finanziamenti, sarebbero pari oltre 150 miliardi di euro. Se si applicasse quella per le aree in ritardo di sviluppo, oltre 120 miliardi. Non entrando in questa sede in valutazioni strettamente politiche, circa la necessaria concentrazione delle risorse nelle regioni meridionali, è possibile tuttavia giungere a una valutazione e formulare due proposte. La valutazione è che il PNRR varato dal precedente governo offre una peraltro vaga e senz’altro riduttiva e penalizzante programmazione per le regioni del Mezzogiorno, escludendo, ad eccezione che per le misure finanziate da React-Eu, ogni forma di doverosa etero-compensazione. La prima proposta è quella di rimodulare il PNRR attribuendo un coefficiente di concentrazione a favore delle Regioni del Sud che tenga conto, per ognuno dei sei pilastri del Dispositivo di Ripresa e Resilienza, dell’effettivo ritardo accumulato rispetto alla media nazionale e della realizzazione di target realistici. Tra questi senz’altro il pilastro 4 “coesione sociale e territoriale “e il pilastro 6 “Politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l’istruzione e le competenze” La seconda proposta è quella di legare ad ogni concentrazione un rafforzamento amministrativo (risorse umane e strumentazione), sia nella fase di attuazione che di monitoraggio e controllo, da inquadrarsi in un auspicata vera e propria rivoluzione culturale della spesa pubblica e dell’accesso dei privati a queste ultime.
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