Il miglior mondo possibile. Cent’anni dalla nascita del filosofo politico John Rawls
27 febbraio 2021
Il 21 febbraio ricorreva il centesimo anniversario della nascita di John (Jack, per gli amici) Bordley Rawls. Rawls è stato il più importante filosofo politico dai tempi di Hobbes. Per me, poi, anche un amico, un maestro, un mentore. Nacque a Baltimora, nel Maryland, il 21 febbraio 1921, secondo di cinque figli. Ed è morto a Lexington (Boston) nel 2002. Dopo la High School, Jack seguì suo fratello maggiore Bill a Princeton, dove nel gennaio 1943, si laureò summa cum laude in filosofia. Nel febbraio di quello stesso anno, Rawls andò in guerra, e servì il suo paese nel 128mo Reggimento di fanteria, prima in Nuova Guinea, poi nelle Filippine e infine nelle truppe che occupavano il Giappone dove vide di persona le atroci conseguenze della bomba atomica. Nel 1946 Rawls tornò di nuovo a Princeton, dove scrisse la Dissertazione per il Ph.D. Nel 1948, Rawls conobbe, per poi sposarla l’anno successivo, Margaret (Mardy) Warfield Fox.
L’anno accademico 1952-53, trascorso a Oxford, fu importante nella crescita intellettuale di Rawls. Al ritorno, Rawls divenne assistent professor a Cornell, e dal 1962 diventò professore a Harvard dove rimase fino al ritiro nel 1991. Nel 1979, l’Università di Harvard gli attribuì il titolo di “University Professor”. I suoi corsi furono di solito quello in Moral Philosophy (con letture di Butler, Hume, Kant, Hegel, Sidgwick) e quello in Political Philosophy (con letture di Hobbes, Locke, Rousseau, Mill e Marx).
Sin dai tempi del Ph.D. egli lavorò essenzialmente all’elaborazione di temi e problemi di quella che sarà il libro che lo ha reso famoso, Una teoria della giustizia (A Theory of Justice, 1971). Le tesi politiche in senso stretto di Rawls, nella Teoria, sono piuttosto comuni nel mondo accademico americano. Rawls è un “liberal”, di educazione religiosa protestante, deciso a conciliare l’egualitarismo con la tradizione liberale dei diritti individuali. In Europa continentale, potrebbe essere definito come un “socialdemocratico” sui generis (come lui stesso ha affermato nella Prefazione all’edizione francese della Teoria). Questa posizione politica, che viene fuori dal libro del 1971, fu ricevuta con grande entusiasmo negli Stati Uniti, in anni particolari per quella nazione, anni che seguivano alle marce per i Diritti Civili, al Black Liberation Movement e alla mobilitazione contro la guerra in Vietnam.
Ciò che invece è stato realmente innovativo è la pretesa teorica dell’opera di Rawls. In Una teoria della giustizia Rawls presenta una teoria liberale della giustizia, basata sul contrattualismo in polemica con la tradizione dell’utilitarismo filosofico. Il metodo, basato sulla oramai celebre “posizione originaria”, tiene conto delle più sofisticate teorie della scelta razionale che sono adoperate all’interno di un argomento etico normativo nell’ambito di una versione kantiana della giustificazione. Per quanto riguarda il contenuto, Rawls afferma il primato dell’equità sull’efficienza nella libertà. In buona sostanza, la giustizia sociale si comprende solo dal punto di vista dei più poveri, dice Rawls, in un Paese in cui una tesi del genere non è di certo all’ordine del giorno.
Con ogni probabilità, bisogna guardare all’opera di Rawls nel suo complesso, nell’ottica di un primato di Una teoria della giustizia sulla parte restante, che pure comprende elementi di notevole rilevanza a cominciare dal libro del 1993 su Liberalismo politico (Political Liberalism) e di quello del 1999 su Il diritto dei popoli (The Law of Peoples), per andare a una serie di altri scritti pubblicati nei recenti Collected Papers (1999). Liberalismo politico fornisce una giustificazione politica, come contrapposta a etica e metafisica, della liberaldemocrazia. La liberaldemocrazia include, attraverso l’operare di un “consenso per intersezione” più persone di quelle che condividerebbero una teoria “comprensiva” del liberalismo. Semplificando al massimo, la tesi sostiene che la diversità è un elemento essenziale della liberal-democrazia.
In Il diritto dei popoli, Rawls teorizza una visione delle relazioni internazionali in una prospettiva etico-politica. Scopo del libro è la presentazione di una “utopia realistica”. In questo ambito, i popoli liberali accetterebbero nella “società dei popoli” i popoli gerarchici “decenti”, che rispettano alcuni fondamentali diritti umani e fanno valere procedure di consultazione sia pure non propriamente democratiche. Non accetterebbero, invece, gli stati fuorilegge. I rapporti tra popoli liberali e popoli decenti sono compresi nella teoria ideale. La teoria non-ideale discute invece le relazioni di guerra e di aiuto economico alle nazioni gravate dalla miseria. L’idea di fondo dice che la politica internazionale non è pura anarchia ma anche ragionevole opportunità di conversazione tra differenti culture e etnie.
Di aiuto per la comprensione dell’opera di Rawls è un testo da lui stesso adoperato normalmente a lezione negli anni 1980, con il nome fantasioso di “Guided Tour”, testo che nella versione in forma libro si chiama Justice as Fairness: a Restatement (2001) e che funge da auto-interpretazione dei temi di Una teoria della giustizia da parte di Rawls e rivela una tendenza al cambiamento durante gli anni 1980. Quest’ultima è ribadita dalle numerose modifiche che Rawls ha apportato a Una teoria della giustizia, sin dall’edizione tedesca del libro, modifiche che comunque appaiono nella seconda edizione in lingua inglese che è quella corrente.
Una serie di altri scritti sono stati pubblicati con l’ausilio degli allievi e della moglie, traendo spunto da precedenti lezioni e seminari. Tra queste ci sono le Lectures on the History of Moral Philosophy (2000) e le Lectures on the History of Political Philosophy (2007). Agli scritti di Rawls, si deve aggiungere l’impatto di una sterminata letteratura secondaria.
L’opera di Rawls ha rivoluzionato una disciplina, la filosofia politica, ha cambiato il modo di fare filosofia e avuto profonda influenza in economia, psicologia, diritto, sociologia e via di seguito. È stata discussa e criticata quanto altre mai. Proprio per questo, è difficile valutarne il significato complessivo. Volendo, nonostante ciò, azzardare un giudizio, si può dire che Rawls ci ha aiutati come nessun altro a comprendere il nostro tempo con il pensiero. Che è poi compito essenziale della filosofia, in specie quando si occupa del mondo politico e sociale. Rawls aveva anche profondo il senso della propria missione culturale che vedeva come compito di emancipazione per i più sfortunati e tolleranza per i diversi. Certo, si può dire che non abbia visto l’altra America, quella che anni dopo avrebbe votato Trump. E in qualche modo anche che non abbia afferrato le possibili conseguenze perverse che globalizzazione e web avrebbero apportato alla società globale. Questi sono però compiti che spettano a noi e alle generazioni che ci seguono. Accompagnati come siamo da un lascito rawlsiano tutt’altro che banale. Che quanto meno aiuta a migliorare la capacità di analisi filosofica. Ma non solo. Aiuta anche a coltivare la convinzione che la filosofia politica possa contribuire alla speranza in un mondo migliore. Una volta, oramai tanti anni fa, la figlia più giovane di Rawls, venuta a visitarmi a Roma, mi chiese: “Come mai uno che viene da Napoli ha dedicato tanti anni allo studio di un signore così distante come mio padre?”. Le risposi che suo padre mi aveva aiutato a pensare che potesse esistere un mondo migliore. In conclusione, se Hobbes ci ha insegnato che la politica serve a mitigare la paura, Rawls ci ha mostrato che può anche essere un modo per realizzare la speranza.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.
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