Struttura economica e cambiamento climatico. Modelli di riferimento

28 febbraio 2021
Editoriale Entrepreneurship
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Nel Suo articolo fa notare che, per analizzare la relazione tra crescita economica e impatto ambientale, è necessario concentrarsi sulle complesse interazioni tra i diversi aspetti del cambiamento strutturale che possono avere un’influenza sulla crescita economica e sui cambiamenti climatici. Quale logica assume per affrontare la complessità delle relazioni tra i diversi aspetti dei cambiamenti strutturali e climatici all’interno del quadro di modellizzazione?

Mi occupo da diversi anni dei temi del cambiamento strutturale e del suo impatto sulla performance economica (produttività, crescita, livelli e composizione dell’occupazione). In quanto economisti, dobbiamo essere coraggiosi nell’affrontare tale complessità e, nel fare ciò, non dovremmo usare modelli con ipotesi non realistiche o ipersemplificate.

Sia le diverse dimensioni del cambiamento strutturale prese in considerazione in questo articolo che le loro interazioni richiedono modelli adatti ad affrontare tale complessità. Ciò è particolarmente vero quando si mira a fornire una rappresentazione affidabile ed esauriente dell’impatto della crescita economica sui diversi aspetti del cambiamento climatico.

Nel paper vengono considerate diverse famiglie di modelli, appartenenti a differenti approcci teorici, anche sulla base delle diverse dimensioni del cambiamento strutturale (endogeno), sulle modalità con cui viene modellizzata la loro interazione, e considerando se siano o meno microfondate.

Questa scelta è dettata dalla convinzione che escludere la complessità del cambiamento strutturale nei modelli macroeconomici e politici possa portare a risultati e previsioni errate. Ad esempio, in che modo i cambiamenti nella composizione settoriale di un paese sono correlati ai cambiamenti nelle dimensioni dell’impresa, nell’occupazione, nei salari, nella distribuzione del reddito e quindi nelle preferenze di consumo? Settori diversi hanno impatti diversi sui Greenhouse Gases (GHG), quindi la specializzazione settoriale dei paesi è particolarmente rilevante. I consumatori acquisteranno beni “green”, sulla base della distribuzione del reddito e delle loro preferenze. Tutti questi aspetti saranno importanti per i GHG. Poiché si influenzano a vicenda, modellizzare la loro interazione risulta fondamentale.

Vengono individuati sei diversi aspetti del cambiamento strutturale, che possono essere disaggregati in diverse componenti, al fine di comprendere le loro relazioni con il cambiamento climatico. Può esporre i principali risultati della Sua analisi?

Si è partiti da sei aspetti del cambiamento strutturale e si è discussa la misura in cui sono integrati e le loro interazioni (endogenamente) modellizzate in diverse famiglie di modelli: Integrated Assessment Models (IAM), Computable General Equilibrium Models (CGE), Structural Change Models (SCM), Modelli macroeconomici ecologici (nella tradizione keynesiana) (EMK) e modelli multi-agente ed evolutivi (EABM).

Si sono evidenziati i punti di forza e di debolezza di ogni approccio di modellizzazione basato sui criteri sopra menzionati.

I risultati sono riassunti nella tabella sottostante:

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Gli EABM sono i più adatti a rappresentare le interazioni tra diversi aspetti del cambiamento strutturale e del cambiamento climatico, in quanto sono micro-fondati e sono in grado di rappresentare scenari out-of-equilibrium, che sono essenziali quando si modellizzano aspetti qualitativi del cambiamento strutturale.

Che tipo di limitazioni derivano dall’applicazione dei tradizionali modelli che indagano la relazione tra economia e cambiamento climatico inclusi gli aspetti del cambiamento strutturale?

Come sintetizzato nella tabella precedente, il modello IAM tiene conto di alcune differenze settoriali, distinguendo tra fonti di consumo energetico, ma la crescita relativa di questi settori non è endogenizzata; l’organizzazione industriale non è rilevante; il cambiamento tecnico è modellizzato come cambiamento marginale in una funzione di produzione aggregata attraverso LBD; le principali variazioni della domanda sono limitate alle preferenze temporali. I modelli CGE includono un numero maggiore di settori, legati tramite coefficienti di I/O, con diverse curve di apprendimento e contributi alle emissioni, ma queste relazioni sono statiche; includono anche diversi modelli di consumo del consumatore medio rappresentativo, il che non consente di rappresentare l’eterogeneità dei consumatori. SCM si concentra sull’interazione I/O tra settori e su come possono cambiare a causa dei cambiamenti climatici. Tuttavia, si sono rintracciati solo un paio di modelli che introducono anche cambiamenti nei coefficienti di I/O e modellizzano l’emergere di nuovi settori intermedi. Le differenze dal lato della domanda non sono più sofisticate di quelle già incluse nei modelli CGE. I modelli EMK integrano squilibri ecologici e squilibri monetari in un quadro unico, per studiare le relazioni tra vincoli di equilibrio ecologico e macroeconomico. Sebbene i modelli siano guidati dalla domanda, non vi è alcun cambiamento strutturale dal lato della domanda. Il contributo principale è nell’analisi del nesso tra dinamiche di (dis)occupazione, investimenti, impatto ambientale e crescita economica.

Inoltre, le tre ipotesi principali su cui si fondano tutte le famiglie di modelli di cui sopra rendono problematico il loro utilizzo per tenere conto di componenti più rilevanti del cambiamento strutturale (e della loro relazione con il cambiamento climatico). In primo luogo, la perfetta razionalità (anche con informazioni limitate) non rappresenta la vera incertezza, che caratterizza l’impatto delle attività economiche sull’ambiente, ad es. in termini di conseguenze indesiderate. In secondo luogo, in assenza di eterogeneità degli attori, non vi è spazio reale per un cambiamento strutturale endogeno. In terzo luogo, nel quadro della compensazione del mercato in cui esiste un equilibrio unico lungo il quale un’economia cresce, non è possibile rilevare “l’emergere di entità qualitativamente diverse”. Anche con equilibri multipli, non è possibile modellizzare gli aggiustamenti transitori che sono alla base del cambiamento strutturale.

A Suo avviso quale famiglia di modelli si adatta meglio all’interazione tra gli aspetti dei cambiamenti strutturali e climatici analizzati? E come può essere applicata per affrontare meglio i diversi aspetti del cambiamento strutturale?

L’EABM “allenta” le tre ipotesi di base dei modelli sopra menzionati: comportamento aggregato (o comportamento medio nel caso di modelli CGE micro-fondati); perfetta razionalità di agenti eterogenei; dinamiche out-of-equilibrium.

Di conseguenza, sono più adatti per modellizzare sistemi complessi in evoluzione, che rappresentano un numero maggiore di aspetti del cambiamento strutturale e modellizzano le loro interazioni.

Ad esempio, sono in grado di considerare le economie in cui: (1) la rilevanza dei settori cambia nel tempo e nello spazio; le aziende di settori diversi si comportano in modo diverso e hanno incentivi diversi; (2) anche il rapporto tra settori cambia costantemente, influenzando le dinamiche industriali, le dimensioni, i rapporti commerciali; (3) il cambiamento tecnico è un processo complesso di per sé, che comporta rischi non misurabili, investimenti, cambiamenti radicali e scelte non reversibili e determina la direzione futura del progresso tecnico; (4) i cambiamenti settoriali, nell’organizzazione industriale e nel cambiamento tecnico determinano cambiamenti radicali nella domanda di lavoro, e quindi nei salari e nella distribuzione del reddito; (5) i cambiamenti nella distribuzione del reddito e nelle tecnologie inducono cambiamenti nelle preferenze e nei comportamenti di consumo; (6) tutti i cambiamenti di cui sopra dipendono dal mutamento delle istituzioni; (7) ultimo ma non meno importante, il cambiamento climatico ha impatti eterogenei su ciascuno dei suddetti aspetti del cambiamento strutturale, il che non è prevedibile senza considerare come questi impatti sono distribuiti.

Dati gli assunti restrittivi di IAM, dei modelli CGE, della maggior parte degli SCM e la costruzione aggregata di EMK, ad oggi solo l’EABM sembra in grado di raccogliere la sfida di studiare e rappresentare le interazioni tra diversi aspetti del cambiamento strutturale con l’ambiente.

Ci auguriamo che questa tradizione di modellizzazione, sebbene impegnativa, possa informare il processo decisionale in modo più sistematico, in particolare nel quadro del Green New Deal dell’UE.

Modelling the Evolution of Economic Structure and Climate Change: A Review

L'autore

Maria Savona è professoressa di Economia Applicata al Dipartimento di Economia e Finanza alla Luiss    


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