Draghi-Grillo-Salvini? Un’edizione digitale del ‘compromesso storico’. Intervista a Nathan Gardels
2 marzo 2021
“L’Italia oggi è protagonista del più affascinante esperimento di innovazione democratica in tutto l’Occidente”. Nathan Gardels, giornalista e studioso americano, direttore del magazine Noema – nel cui board editoriale siedono tra gli altri lo scrittore Orhan Pamuk, i giornalisti Fareed Zakaria e Walter Isaacson – parlando con Luiss Open non usa mezzi termini. Quello italiano è un esperimento politico “talmente interessante” che Gardels, autore con Nicolas Berggruen del libro “Renovating Democracy: Governing in the Age of Globalization and Digital Capitalism”, lo reputa secondo soltanto alla “democrazia digitale ultra-avanzata di Taiwan, in cui milioni di cittadini lo scorso anno hanno partecipato a un hackathon per definire l’agenda del Governo”. Gli ingredienti di questo cocktail politico inedito, per Gardels, sono tre. Il primo: “Un presidente del Consiglio tecnocratico, ex presidente della Banca centrale europea, come Mario Draghi”. Il secondo: “Il più grande partito in Parlamento, il Movimento 5 Stelle, di matrice anti-establishment, che decide – su una piattaforma online, col voto di 75.000 attivisti – di sostenere un governo guidato da Draghi sulla base di alcune condizioni programmatiche, dalla transizione ecologica al reddito di cittadinanza”. Il terzo e ultimo ingrediente: “L’adesione, al medesimo esecutivo, dei leader del centro-sinistra, del centro-destra e di parte della destra più radicale come quella di Matteo Salvini”.
La riedizione digitale del “compromesso storico” degli anni 70
Gardels, che osserva l’Italia da anni, cita lo scienziato politico Fabrizio Tassinari per tracciare un parallelo col passato: “Stiamo assistendo, come dice Tassinari, a un ‘compromesso storico’ tra i principali partiti populisti e un outsider non eletto che incarna l’essenza dell’establishment europeo, proprio quell’establishment contro cui i movimenti populisti si erano scagliati negli scorsi anni per raccogliere i loro consensi. Mi ricorda il tentativo, negli anni Settanta dello scorso secolo, di far sedere allo stesso tavolo del governo la Democrazia Cristiana e il Partito comunista italiano, al tempo il più grande della sua specie in tutto l’Occidente. Allora si cercò un compromesso tra due partiti ben radicati, due strutture politiche ideologicamente avversarie e all’apice della Guerra fredda. Oggi si tenta un compromesso tra esperienza e conoscenza già consolidate da una parte, e forze popolari-populiste emergenti dall’altra”. Poi lo studioso propone un’altra analogia storica. Stavolta il suo pensiero va ai populisti e all’Era Progressista negli Stati Uniti a cavallo tra Ottocento e Novecento. “Alla fine del XIX secolo, nel mio Paese, i populisti si ribellarono di fronte alle disuguaglianze della Gilded Age, un’epoca caratterizzata dalla corruzione dell’establishment politico e dallo strapotere di monopoli economici controllati dall’élite della costa orientale del Paese. Quei populisti erano un mix dei Trump e dei Sanders dei nostri giorni, non senza venature antisemite, ma chiedevano anche diritti sociali per i lavoratori e diritto di voto per le donne. Molti fra loro abbracciarono l’idea della democrazia diretta, di iniziative simil-referendarie dal basso per influenzare il potere legislativo. Sulla scia di quella rivolta, i Progressisti, appartenenti alla classe media e più colti rispetto agli agricoltori diseredati e ai lavoratori sfruttati che militavano nella fila dei populisti, fecero convergere la democrazia diretta e un governo più intelligente, indirizzato in maniera decisa da esperti, professionisti e commissioni indipendenti. Così nelle città furono scalzati i mastodontici apparati di partito o il capitalismo clientelare. E furono approvate riforme radicali, prima a livello statale e poi federale: leggi anti-trust, ampliamento del suffragio femminile, giornata lavorativa di otto ore, eccetera”. Gardels a questo punto cita Walter Lippmann, giornalista di simpatie Progressiste, che più tardi scriverà: “Il valore aggiunto della mediazione offerta dall’esperto non consiste nell’offrire un punto di vista che si impone sui faziosi, ma nel fatto che disintegra la faziosità stessa”. E chiosa subito dopo: “Il presidente del Consiglio italiano Draghi non ha forse detto una cosa simile in Parlamento, quando ha citato l’esempio danese di riforma del fisco, sostenendo che riforme del genere ‘dovrebbero essere affidate a esperti’, a commissioni imparziali che poi sottopongono le loro proposte al Parlamento?”.
A Roma, competenza (tecnocratica) e legittimazione (populista) sono scese a patti
Se questa sintesi politica italiana le pare così felice – chiediamo a Gardels – a chi attribuisce il merito maggiore di averla resa possibile? I cosiddetti “populisti”, che hanno acconsentito a farsi guidare da Draghi, o i “tecnocrati” che hanno accettato di convivere con questo Parlamento? In fondo, nel pieno dell’emergenza, chi ha chiamato in soccorso chi? “Non penso sia possibile stilare graduatorie su chi abbia ‘ceduto’ prima”, replica lo studioso. “Piuttosto mi sembra che un insieme di circostanze – la pandemia, la recessione che ne è seguita, lo sforzo senza precedenti dell’Unione europea nel raccogliere fondi sul mercato dei capitali e nell’indirizzarli verso l’Italia – abbia costretto entrambi, ‘insurrezionalisti’ e ‘istituzionalisti’, a mettersi assieme e a collaborare. Entrambi hanno realizzato che non esisteva una strada credibile che portasse il Paese fuori dalla crisi se non facendo affidamento sui due pilastri di una governance efficace: competenza e legittimazione”. Quanto durerà? “Governare non sarà facile, considerate le distanze ideologiche tra gli attori in campo. Ma l’idea di un Presidente del Consiglio tecnocratico e non di parte sostenuto attraverso il voto online degli attivisti di un movimento anti-establishment che affonda le sue radici nel coinvolgimento dei cittadini – invece che nella delega agli apparati di partito – è uno sviluppo inaspettato nella pratica democratica. Come mi ha confidato lo stesso Davide Casaleggio subito dopo la votazione online dello scorso 11 febbraio, ‘la piattaforma Rousseau plasma il Movimento mettendo a disposizione l’infrastruttura sociale, tecnologica ed educativa. Il Movimento è nato da una rete di idee e persone, oltre che dal metodo unico della partecipazione dal basso. Rousseau rappresenta un nuovo modello di partecipazione, un passo importante verso il concetto di cittadinanza digitale’. Il ruolo di Rousseau, gestito da Casaleggio Associati e finanziato da una quota dello stipendio dei parlamentari, è lungi dall’essere perfetto. Tuttavia quanto sta accadendo in Italia meriterebbe una qualche attenzione da parte delle altre democrazie occidentali che cercano di sfuggire alla stretta asfissiante della faziosità partigiana. Roma forse non lo ha ancora realizzato, ma sta indicando un’uscita d’emergenza che porta a un governo tendenzialmente imparziale, formatosi col contributo attivo di una parte della società civile che può legittimare un accordo simile”.
Proviamo a guardare oltre la fine di questa legislatura. L’esperimento-Draghi, dal suo punto di vista, assomiglia più a una tregua o a un cambio di paradigma destinato a influenzare il panorama politico negli anni a venire? “Come accade sempre nei processi storici, nel breve periodo le personalità e le circostanze specifiche giocano un ruolo decisivo. Se ciò cui siamo di fronte si rivelerà una tregua o un ‘new normal’ dipenderà anche da questi fattori. Comunque ritengo che in fondo abbiamo sotto gli occhi le classiche modalità con le quali si dipana un cambiamento profondo. Prima arriva il momento liberatorio della rottura, a suon di ideali un po’ utopici, del vecchio ordine ormai arrugginito. Seguono gli errori, gli abusi e le divisioni interne che sono connaturate al fatto di avviare un’esperienza con poche regole stabilite o sparuti precedenti cui fare riferimento. Alla fine si stabilisce un nuovo ordine governante che riesce a distinguere gli errori e gli eccessi dai benefici del cambiamento, un ordine che tempera gli aspetti peggiori e abbraccia quelli migliori”.
Il ruolo dell’Unione europea e la distanza tra Draghi e Monti
Dieci anni fa, Nathan Gardels fu uno dei primi osservatori internazionali a descrivere – oltre che a elogiare – il tentativo di un altro governo italiano, quello guidato da Mario Monti, di “depoliticizzare” la scena pubblica del nostro Paese. Dieci anni dopo, però, in Italia mancano ancora all’appello alcune importanti riforme – dal lavoro al welfare, passando per la Pubblica amministrazione, solo per fare qualche esempio – che pure sembrano necessarie per una fioritura economica e sociale del Paese. “Oggi e nelle prossime settimane – spiega Gardels – il governo Draghi ha la sua grande occasione di affrontare questi nodi. Draghi avrà almeno due vantaggi rispetto a Monti. Certo dovrà affrontare riforme difficili, come quella della burocrazia o della giustizia, ma avrà vita più facile sul fronte fiscale, nel senso che dovrà distribuire risorse invece che tagliare bilanci. Inoltre, la recessione indotta dalla pandemia non è una colpa che possa essere addossata a Bruxelles. Stavolta, all’opposto che dieci anni fa, le risorse dell’Unione europea affluiranno in Italia per aiutare il Paese. Non a caso molti leader del Movimento 5 Stelle, così come Matteo Salvini della Lega, stanno sposando la causa dell’‘unità nazionale’ invece di mobilitare i sentimenti anti-Ue. Questo equivale a dire alle persone che il loro destino è nelle mani di ciascuno di loro. Il che non renderà semplici dei cambiamenti comunque difficili, ma certo li renderà più abbordabili di quanto non fossero ai tempi di Monti”.
Pandemia e cultura della “Diet Coke”
A proposito di bilanci pubblici dei nostri Stati. Da mesi, in Europa e non solo, il debito pubblico si espande a vista d’occhio, ma il fardello sulle spalle degli Stati sovrani sembra scomparso. Potere delle Banche centrali, dice qualcuno. Prima o poi, però, dovremo pagare il conto di quella che lei, qualche anno fa, ribattezzò “la cultura della Diet Coke”, cioè la convinzione – diffusa tra tanti cittadini delle democrazie avanzate – di poter avere “tutto, subito e gratis”, la certezza insomma di potersi godere il gusto della bevanda dolce e gassata senza le conseguenze negative del troppo zucchero? “È ancora da capire se la pandemia da Covid-19 segnerà un punto di frattura epistemico – risponde Gardels – cioè il distacco da una società di consumatori che corrono indemoniati e non vogliono nemmeno sostenere i costi di un sistema sanitario pubblico efficiente. Rispetto a questa corsa a testa bassa che caratterizza le nostre società, la pandemia ha costituito un dosso rallentatore, un ostacolo improvviso e affatto trascurabile. La speranza è che sempre più cittadini comprendano che occorre essere preparati, essere dotati di un’infrastruttura sociale, politica ed economica solida e resistente per affrontare qualsiasi evenienza si possa materializzare di fronte alla nostra società. L’augurio è che gli stessi cittadini realizzino di non potersi accaparrare tutto quello che c’è di dolce nel nostro mondo, senza sostenere i costi associati alle calorie. Questo è vero sia in termini di capacità fiscale dei nostri Stati, che in termini di capacità operativa degli stessi, insomma dei due pilastri necessari per un buon governo”. Se alla fine riusciremo o meno a liberarci dalla “cultura della Diet Coke”, ragiona Gardels, “dipenderà dal successo della ‘governance ibrida’ che sta emergendo anche dal nuovo ‘compromesso storico’ italiano”. Si spieghi meglio: “Se questo modello, il governo Draghi, renderà possibile una campagna vaccinale efficace e rapida, se creerà posti di lavoro, se aiuterà l’economia a ripartire attraverso investimenti in infrastrutture green, se allocherà il ‘debito produttivo’ in maniera appropriata, allora i cittadini riconosceranno il valore di un esperimento inedito. Come sempre, un momento di profonda crisi può generare innovazioni democratiche”, conclude Gardels. “La crisi attuale non farà eccezione, combinando – a partire proprio dall’Italia – una tecnocrazia finalmente tenuta a rendere conto del suo operato (‘accountable’, come diciamo in inglese) e un potere partecipativo di cittadini connessi”.
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