L’Europa apre il confronto sul proprio futuro
10 marzo 2021
Giovedì scorso, i leader dei principali partiti parlamentari europei hanno approvato la Dichiarazione congiunta (sottoscritta tre giorni prima dai presidenti del Consiglio dei ministri, della Commissione europea e del Parlamento europeo) che promuove la Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFuE). Una volta che tale Dichiarazione verrà approvata da tutti i ministri dei governi nazionali (avverrà nei prossimi giorni), la macchina della CoFuE si metterà in moto. Per un anno, i cittadini europei verranno coinvolti in una discussione pubblica, organizzata in conferenze plenarie e panels nazionali e locali, su “come costruire un’Europa più resiliente”. Nel frattempo, sotto la pressione della pandemia, l’Unione europea (Ue) ha intrapreso percorsi inediti di riforma, per dotarsi delle capacità di policy con cui affrontare il dopo-pandemia. Di ciò, però, risulta poco o punto nella Dichiarazione congiunta. Quest’ultima solleva aspettative sul futuro che sono al di sotto di ciò che sta avvenendo. Potremmo chiamarlo il paradosso delle aspettative rovesciate. Come risolverlo?
Cominciamo da ciò che sta avvenendo, considerando tre policies cruciali per la resilienza dell’Ue, come la politica di vaccinazione, economica e di sicurezza. Per quanto riguarda la politica di vaccinazione, l’Ue ha mostrato di saper controllare i nazionalismi vaccinali, ma al prezzo di indebolire la sua azione esterna. È probabile che siano stati commessi errori nella negoziazione con le società farmaceutiche da parte della Commissione, ma è certo che la gestione insoddisfacente della politica vaccinale europea sia dovuta a ragioni strutturali e non soggettive. La Commissione non ha potuto disporre di un potere negoziale autonomo dagli stati, né di un suo bilancio da usare secondo le esigenze negoziali. Nell’Ue non vi sono campioni industriali europei, nel campo della ricerca medica e della produzione farmaceutica, che avrebbero potuto sostenere una diversa politica vaccinale. Ecco perché, come ha ricordato il commissario europeo Thierry Breton qualche giorno fa, la Commissione si è impegnata a proporre modi per dotare l’Ue di una sua capacità industriale in settori strategici. Per quanto riguarda la politica economica, l’Ue ha mostrato di saper rispondere agli effetti devastanti della pandemia, approvando il programma di Next Generation-EU e creando debito europeo per finanziarlo. Tuttavia, la logica di politica economica istituzionalizzata dal Patto di Stabilità e Crescita è stata, per ora, solamente sospesa. Ecco perché, come ha sostenuto il commissario europeo Paolo Gentiloni il 26 febbraio scorso, un confronto è in corso nella Commissione su come dotare l’Ue di una sua capacità fiscale, oltre che su come avviare (nel contesto della Economic Governance Review) una riforma del Patto così da distinguere debito buono da debito cattivo. Occorre individuare nuove regole fiscali che abbiano un focus di medio termine così da poter esercitare una funzione anticiclica nelle fasi di crisi. Per quanto riguarda la politica di sicurezza, l’Ue ha dimostrato di saper assumere posizioni comuni in crisi internazionali (come le sanzioni economiche alla Russia), ma non ha poi la capacità per sostenere tali posizioni quando esse vengono criticate. Ad esempio, il 6-7 febbraio scorsi, durante una visita ufficiale in Russia dell’Alto Rappresentante europeo, Josep Borrell, il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, potette accusare l’Ue di essere “un partner inaffidabile” (per le sue sanzioni), sapendo che le sue parole non avrebbero avuto conseguenze. Ecco perché, come ha sostenuto il presidente francese Emmanuel Macron il 19 febbraio scorso, alcuni Paesi sono impegnati ad individuare modalità per dotare l’Ue di una sua capacità militare (senza la quale non può difendere i suoi interessi e i suoi valori).
Di tale discussione sulle “capacità”, nella Dichiarazione congiunta sulla CoFuE non vi è riferimento. Dopo tutto, quella Dichiarazione è il risultato di una faticosa azione di mediazione tra i leader di alcuni governi nazionali (dell’Europa centro-orientale e scandinava) e le leadership sovranazionali. È già un successo che la CoFuE sia stata finalmente avviata. Tuttavia, i termini della sua organizzazione testimoniano che quei governi nazionali hanno accettato la CoFuE a condizione che essa mantenga un “carattere meramente espressivo” (per dirla con John Erik Fossum). Non essendoci un blue print che delimiti la discussione, né un’agenda dei problemi da discutere, è possibile che le varie iniziative (conferenze plenarie, panels dei cittadini) attirino anche gruppi euroscettici o antieuropei, oltre che cittadini preoccupati del futuro dell’Ue. Come sappiamo, il populismo sa usare con efficacia le opportunità di mobilitazione pubblica. La governance della CoFuE non è strutturata per gestire processi conflittuali. Essa sarà presieduta dai tre presidenti (del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio dei ministri), sotto la cui supervisione agirà un executive board (costituito di tre rappresentanti per ognuna delle tre istituzioni e di quattro osservatori, oltre che dei presidenti del Comitato delle regioni, del Comitato economico e sociale, della Conferenza delle commissioni parlamentari nazionali degli affari europei, delle organizzazioni europee di interesse, anch’essi coinvolgibili come osservatori), con un segretariato che ne assiste il lavoro. Come se non bastasse, l’executive board dovrà decidere all’unanimità, rendendo difficile di andare avanti (ma anche di ritornare indietro). È probabile che la CoFuE si risolverà nella celebrazione dello statu quo. Molto rumore per nulla? Non necessariamente.
Infatti, gli europeisti (nei governi nazionali e nelle istituzioni sovranazionali) potrebbero utilizzare la CoFuE come l’occasione per aggregare, intorno alla proposta di un political compact, una “coalizione di volenterosi” disposta ad avanzare verso la differenziazione costituzionale dell’Europa. Una differenziazione per dotare Bruxelles di capacità autonome senza sottrarle alle capitali nazionali. Il paradosso delle aspettative rovesciate può essere risolto solamente uscendo dalla trappola unanimistica che lo ha creato e continua a preservarlo.
Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.
Newsletter
Articoli correlati
Lost in Translation? La sinistra europea alla ricerca di se stessa
6 settembre 2021
Nel panorama politico dell’Europa occidentale degli ultimi anni è generalmente accettato che i partiti di sinistra, e in particolare i partiti socialdemocratici, abbiano sperimentato un inarrestabile declino elettorale. Giornalisti ed esperti hanno evidenziato il drammatico crollo recente dei partiti socialdemocratici in diversi paesi. Vediamo le cause.
Regimi fiscali e visioni dell’Unione euopea
4 agosto 2021
Dopo l’estate inizierà la discussione sul futuro del Patto di stabilità e crescita (PSC), il perno del sistema fiscale dell’Eurozona momentaneamente sospeso. Già ora, però, gli schieramenti si stanno formando. L’Eurozona ha bisogno di un framework fiscale per funzionare, ma la sua natura è oggetto di divisioni. Vediamo perché.
L’Europa apra le porte solo alle vere democrazie
27 luglio 2021
Non era mai sparito dall’agenda, ma l’obiettivo dell’ulteriore allargamento dell’Unione europea (Ue) è stato recentemente riproposto. Come valutare le pressioni verso un nuovo allargamento? La visione internazionalistica è in contrasto con la realtà istituzionale dell’Ue? Ecco un’analisi di Sergio Fabbrini.
L’Italia è leader dell’antiriciclaggio e merita la nuova Agenzia europea
17 giugno 2021
La proposta, formulata nei giorni scorsi dal Presidente dell’ABI Patuelli, di insediare in Italia l’Agenzia europea per l’antiriciclaggio appare basata su oggettive ragioni di merito. Il nostro Paese può infatti vantare una delle prime e più articolate normative in materia di prevenzione e repressione di questa gravissima forma di reato.