Qualcosa di sinistra. Enrico Letta e il progetto per il nuovo PD
16 marzo 2021
Il mondo sostanzialmente uniforme e omogeneizzato dell’informazione italiana pullula, in questi giorni, di commenti al discorso del nuovo segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. A parte qualche eccezione, i commentatori appartengono per lo più all’area che sta “alla destra del centro”, per usare un’espressione ampiamente attestata in interviste e commenti di giornalisti e intellettuali. Per lo più, la gran parte di queste analisi usano la cesura sinistra/destra, dicendo al tempo stesso che essa è esausta. Una contraddizione logica non piccola. Provo a offrire, allora, un’analisi interna all’area della sinistra, un’area – va chiarito subito – che è plurale e diversificata al suo interno.
Una prima considerazione è prodromica alle altre: Letta non è interessato a pescare voti nel bacino elettorale della destra. Il nuovo segretario del Pd è interessato ad allargare il suo bacino elettorale, ricreando fiducia e nel contempo recuperando le elettrici e gli elettori che si sentono ormai senza rappresentanza e con cui si è rotta la “connessione sentimentale” che era stata la principale modalità del radicamento territoriale della sinistra italiana. Allargare il bacino elettorale (a partire dalla conferma del proprio) è una normale azione politica di costruzione del consenso sul proprio progetto di società; l’inseguimento di bacini elettorali altrui, invece, produce quel fenomeno di “disallineamento ideologico” (ampiamente studiato nella comunicazione politica) che è una delle variabili responsabili della frammentazione politica e della volatilità elettorale. Enrico Letta – che non è certo un “radical” – sa bene che il partito va riportato nel suo alveo naturale che non è – e non può essere – quello della condivisione acritica delle politiche neoliberiste. In quest’area si trovano, ovviamente, posizioni diverse (dai socialisti norvegesi ai laburisti britannici, dai nazionalisti scozzesi ai Demoratic Socialists americani, dai partiti socialisti mediterranei a quelli più decisamente “left-wing”): si tratta, tuttavia, di un’area riconoscibile e in cui è possibile riconoscersi. Primo punto, quindi: Letta non ha parlato alla destra ma alla sua (vasta) area di riferimento (potenziale); non insegue un ipotetico (e inesistente) centro ma invita a costruire un progetto a sinistra di quell’ipotetico centro (che in Italia, peraltro, è sempre stato sinonimo di destra, con le eccezioni nobili della Dc di Zaccagnini, Moro e pochi altri). Letta ha parlato alla sua constituency. Certo, bisognerà poi vedere cosa significherà questo in termini di azione e progetto, ma per ora questo è quello che emerge.
Seconda considerazione: Letta ha parlato alle militanti e ai militanti del Pd. Non è un caso che la sua prima uscita pubblica sia stata in una sezione (che tutti hanno chiamato sezione e non circolo, si badi bene). Un discorso identitario, quindi, con accenti autocritici e con il riconoscimento che studiare e fare ricerca costituiscano valori aggiunti nella formazione di un leader politico.
Terza considerazione: Letta ha parlato ai giovani, non solo per il riferimento al voto ai sedicenni ma anche per il richiamo allo “ius soli” (che era già nel diritto romano, curioso che venga considerata una “stranezza” da chi si richiama all’identità italiana); ma lo ha fatto soprattutto col richiamo ai valori dell’ambiente che troppo spesso in Italia sono stati diluiti in una melassa politica incolore e inefficace. Ambiente e giustizia sociale non sono due progetti diversi ma due facce della stessa medaglia, quella di una democrazia realmente egualitaria che la pandemia (che è anche sindemia, non va dimenticato) ha fatto arretrare, acuendo differenze e fornendo nuovi spazi a oligarchie economiche e politiche.
Quarta considerazione, che deriva dalle precedenti: Letta non parla a una possibile alleanza “in opposizione a qualcuno” (non rispolvera lo schema dei progressisti contro Berlusconi, per capirci) ma per un progetto politico alternativo a quello sovranista-liberista delle destre italiane. Se poi il progetto avrà futuro, se l’attuale Pd potrà riuscirci, se il M5S e le forze a sinistra del Pd vi parteciperanno e come non è possibile saperlo ora; ma è evidente che su questa prospettiva si colloca il discorso di Enrico Letta.
Infine, torniamo alla solita distinzione fra destra e sinistra. La frase “né di destra né di sinistra” esprime una fin troppa chiara appartenenza alla destra; e anche la negazione delle differenze culturali e di progetto sociale appartiene alla tipica narrazione anestetizzante dell’ideologia neoliberista. Letta rivendica una posizione (il tempo ci dirà se sarà tenuta e come), ma è una posizione che marca chiaramente le differenze fra centralità del profitto e solidarietà sociale, fra la vecchia normalità e una nuova più egalitaria normalità, fra destra e sinistra, appunto.
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