Norme sul virus, prima il governo
17 marzo 2021
Le guerre globali si combattono con mezzi globali. Potrebbe essere questo il sottotitolo, esplicativo per tutti, di una importante sentenza della Corte Costituzionale che traccia i confini tra competenze regionali e competenze statali in relazione alla situazione di emergenza dovuta alla pandemia. Ragioni logiche, prima ancora che giuridiche, sorreggono la decisione con cui i Giudici delle leggi hanno valutato che non spetta al legislatore regionale introdurre un meccanismo di contrasto all’epidemia che diverga da quello predisposto dallo Stato, vuoi se si tratti di alleggerire i meccanismi di prevenzione del contagio, vuoi se si tratti di renderli più stringenti. Il virus del Covid si è infatti rapidamente diffuso in tutto il mondo, generando una emergenza che fin dal 30 gennaio 2020 l’organizzazione mondiale della sanità ha qualificato “di rilevanza internazionale” diramando direttive indirizzate alle autorità politiche e sanitarie degli Stati che sono i soli a dover selezionare gli interventi idonei a contrastare una malattia che non solo travalica i confini delle Regioni, ma anche quelli delle singole Nazioni. Ciò non significa, ovviamente, che nella legislazione nazionale non possa e non debba darsi conto delle specificità che possono connotare, per densità abitativa, per tipologia di attività lavorative ed economiche, per distribuzione demografica, o per altri motivi distintivi, un territorio rispetto ad un altro. Vuol dire, piuttosto, che è solo l’autorità governativa centrale a dover conciliare la considerazione di queste diversità con la necessità di creare una barriera di protezione che tenga conto della distribuzione globale della malattia.
Il problema del carattere nazionale o locale della lotta alla pandemia non è stato e non è solo italiano. In Germania Angela Merkel ha dovuto contendere ai Lander il diritto a misure omogenee per l’intero territorio tedesco, così come negli Stati Uniti non è stato semplice definire una regolamentazione federale degli interventi di contenimento, a fronte della diversità di vedute dei singoli Stati. Oggi, con la sentenza della Corte Costituzionale, si è definitivamente stabilito che ogni decisione di riduzione o aggravamento delle misure restrittive, poiché ricade sulla capacità di trasmissione dell’epidemia oltre le frontiere nazionali, coinvolge profili di collaborazione e confronto tra Stati e deve dunque essere assunta dal Governo centrale.
Se passiamo dal piano della logica a quello della normativa, dobbiamo riconoscere che l’argomentata lettura della Corte dell’art.117 della Costituzione, ha consentito di chiarire in maniera inequivocabile che non spetta al legislatore regionale introdurre meccanismi di contrasto alla epidemia divergenti da quelli predisposti dallo Stato. La materia ricade infatti nel suo ambito di competenza legislativa esclusiva, a titolo di “profilassi internazionale”, comprensiva, ai sensi dell’art.117 della Costituzione, di ogni misura atta a contrastare o prevenire una epidemia sanitaria di dimensioni mondiali.
È auspicabile che questa importante pagina di giurisprudenza costituzionale ponga fine, almeno in questa delicata materia, all’aspra contesa che si è riaccesa, proprio in questo delicato periodo, sul rapporto Stato-Regioni. Un rapporto non sempre del tutto chiarito all’interno del Titolo V della Costituzione, ma che non può lasciare spazio ad egoismi o protagonismi, non può far dimenticare la dimensione nazionale e globale della pandemia, non può trascurare il necessario equilibrio tra poteri dello Stato quando è in gioco la stessa sopravvivenza di un numero rilevantissimo di cittadini.
L’articolo è precedentemente apparso su La Stampa. Riprodotto per gentile concessione.
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