Investimenti e welfare. Lo stato torna al comando
22 marzo 2021
Durante la Seconda Guerra Mondiale i carri armati tedeschi Panzer furono superiori agli Sherman americani da ogni punto di vista, armamenti e mobilità: la spuntarono i tank Usa solo grazie all’impressionante capacità industriale di rimpiazzarli, 49.324 unità contro 12.000. Lo studioso di dati Peter Norvig riconosce “La quantità diventa alla fine qualità” e se il web, garrulo, attribuisce la massima a Napoleone o perfino a Stalin, noi dobbiamo sancirne la veridicità: più formidabile è lo sforzo di intervento degli stati contro la pandemia Covid-19, più le previsioni di ripresa sembrano positive. Fino a cambiare la natura del potere geopolitico sul pianeta.
Secondo le stime Ocse-Oecd il titanico sforzo del presidente Joe Biden di scommettere 1900 miliardi di dollari (1600 miliardi di euro) per contrastare la crisi pandemica, potrebbe fruttare un +1% alla ripresa globale, raddoppiare la crescita Usa 2021 dal 3,3% al 6,5%, portando gli Stati Uniti strategicamente avanti all’Unione Europea e al Regno Unito. È un cambio culturale drastico, dopo decenni di intervento statale nell’economia, passato dal New Deal anni ‘30 di Roosevelt alla Great Society di Johnson anni ‘60, mai contraddetti dai repubblicani Eisenhower, con il piano infrastrutture, o Nixon, con l’Agenzia sull’ambiente, l’egemonia era passata, con Ronald Reagan 1980, ai tagli fiscali, lo stato giudicato pasticcione, fino al brusco pacchetto fiscale di Donald Trump. E il partito democratico, soprattutto con Clinton ma anche nella timidezza di Obama dopo la crisi finanziaria 2008, era ipnotizzato dallo status quo.
Ora Biden sfida americani, alleati europei e rivali russi e cinesi a un nuovo protocollo, non più duello Stato-Mercato come un secolo fa, ma sinergia, con il governo a far da blocco fondamentale di ripartenza e il mercato a rilanciare da laboratorio di innovazioni. Se il piano vaccinale Usa funziona, al contrario di quello europeo, si deve al vecchio Defense Production Act del 1950, approvato durante la Guerra di Corea, che permette al governo non di “dirigere le aziende”, ma di dar loro gli strumenti necessari, manodopera, logistica, risorse, per far fronte alle emergenze liberando la capacità produttiva.
La lezione è studiata dal presidente francese Emmanuel Macron, in vista della probabile sfida contro la destra di Marine Le Pen dell’anno venturo. Tramontata la stagione delle liberalizzazioni forzate, che avevano innescato la protesta rabbiosa dei Gilet Gialli, “France Relance”, il pacchetto di aiuti post Covid, è stato “sociale”, 100 miliardi di euro destinati più a incrementare investimenti che non a stimolare domanda: Macron non intende arrivare al voto tra aziende in bancarotta e disoccupati nei picchetti.
Attorno alla battaglia politica, altrettanto focoso è il dibattito teorico, con i fautori del welfare e dello stato, da Thomas Piketty alla Mariana Mazzucato a sostenere massicci interventi contro la crisi, e in America i Nobel Stiglitz e Krugman a incoraggiare Biden a non ascoltare l’opposizione repubblicana e gli economisti mainstream, sui pericoli di un ritorno all’inflazione o a disavanzi fiscali perniciosi. Perfino uno studioso come Kenneth Rogoff, che a lungo insieme alla Carmen Reinhart ha messo in guardia contro la dipendenza strategica dal debito pubblico, si schiera con Biden, notando con saggezza “Viviamo in un mondo diverso…ci sarà forse un rischio di instabilità economica in futuro, ma ora viviamo in un’era di instabilità politica”. Anche i due leader italiani impegnati a indirizzare al “mondo diverso” il governo e la sinistra, Mario Draghi e Enrico Letta, fronteggiano la sfida di Biden e Macron, controllare l’instabilità economica, per impedire a una seconda ondata, brutale come Trump, di populismo nazionalista di mettere a rischio la democrazia. Non è duello accademico tra gli eredi del welfare di Lord Keynes e i paladini della conservatrice Ayn Rand, Stato contro Mercato all’antica, è un pragmatico, cogente, illuminato sforzo di coniugare strategia pubblica con possanza della tecnologia e del sapere d’avanguardia, uscire dalla crisi senza perdere le nostre libertà, passaggio cruciale soprattutto in un paese che non cresce da una generazione come l’Italia.
Questo articolo è precedentemente apparso su La Stampa. Riprodotto per gentile concessione.
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