Vaccini: perché gli Usa sono più bravi dell’Europa

24 marzo 2021
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Se è infondato sostenere che la gestione europea dei vaccini costituisca la dimostrazione “del fallimento di Bruxelles” (Matteo Salvini), è evidente che l’Unione europea (Ue) non sta facendo una “bella figura” nella gestione della pandemia (Paul Krugman). A cosa è dovuto? Vale la pena di capirlo, a meno che non si pensi che si potrebbe fare meglio agendo da soli (difficile, però, da immaginare una “global Italy”). Provo a rispondere considerando la politica vaccinale e la ripresa post-vaccinale. Per fare questo, comparerò l’Ue con gli Stati Uniti (Usa), in quanto entrambi sono sistemi multilivello di grandi dimensioni (seppure misto il primo e federale il secondo).

Cominciamo dalla politica vaccinale. Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention americano, il 19 marzo gli Usa avevano vaccinato il 23 per cento della popolazione, che diventerà il 50 per cento il 14 maggio, il 70 per cento il 24 giugno, il 90 per cento il 4 agosto. Nel discorso del suo insediamento, il presidente Biden aveva promesso di distribuire cento milioni di vaccini entro il centesimo giorno della sua amministrazione. E’ riuscito a farlo in 59 giorni, nonostante la vaccinazione sia gestita dagli stati e dalle località (di qui, la variabilità dei tassi di vaccinazione). Appare indubbio che Joe Biden sia riuscito a recuperare il tempo perso da Donald Trump, tant’è che si ritiene che il 4 luglio (festa dell’indipendenza) il Paese potrebbe ritornare ad una quasi-normalità. Lo Stimulus Bill (American Rescue Plan Act di 1,9 trilioni di dollari), appena approvato dalle due camere del Congresso, prevede ulteriori finanziamenti per accelerare l’azione di vaccinazione. Secondo i dati riportati da Statista, il 18 marzo l’Ue aveva invece vaccinato (percentualmente) la metà della popolazione vaccinata negli Usa (12,18 per cento della popolazione in Italia; 12,02 in Germania; 11,63 in Francia). Anche nell’Ue, come negli Usa, la vaccinazione è decentralizzata nei suoi stati membri (o nelle regioni e comuni interni a questi ultimi). Dunque, l’inefficienza europea della politica di vaccinazione non può essere dovuta alle dimensioni del sistema o alla sua complessità multilivello, se è vero che simili caratteristiche strutturali non hanno impedito agli Usa di avere un’efficienza vaccinale doppia di quella europea. Il problema è perciò un altro. Ciò che è mancato a Bruxelles (e non è mancato a Washington D.C.) è un potere esecutivo dotato delle risorse e delle competenze per definire la politica vaccinale. La Commissione europea ha commesso errori nella gestione del negoziato con le società farmaceutiche, tuttavia quegli errori sono il risultato dei vincoli imposti dagli stati membri (relativamente al costo dei vaccini, alle responsabilità delle società farmaceutiche, ai tempi del negoziato). Non vi sono vincoli comparabili a Washington D.C. Invece di gridare al fallimento di Bruxelles, si dica piuttosto come evitare di ripetere gli stessi errori in una nuova emergenza sanitaria o ambientale.

Vediamo la ripresa post-vaccinale. Con Next Generation-EU (NG-EU), l’Ue ha reagito efficacemente alle conseguenze economiche della pandemia. NG-EU ha consentito di ricorrere all’indebitamento europeo per finanziare la ripresa e la resilienza degli stati membri dell’Ue. Anche lo Stimulus Bill americano assolve una funzione simile, aiutando gli stati (e le imprese e le famiglie) ad uscire dalla pandemia con un rafforzamento delle loro infrastrutture economiche e sociali. Tuttavia, lo Stimulus Bill è parte di un bilancio federale permanente, mentre NG-EU è invece un programma ad hoc, destinato ad esaurirsi con il superamento della pandemia. NG-EU è non solo un bilancio contingente, ma il suo scopo è quello di allocare risorse agli stati membri, seppure all’interno di guidelines definite a Bruxelles. Nello stesso tempo, il bilancio europeo dipende dai trasferimenti finanziari dei governi nazionali (più che da risorse proprie).  Come se non bastasse, alcuni leader nazionali, oltre ad alcuni esponenti sovranazionali (come il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis), hanno proposto di riattivare, l’anno prossimo, il Patto di Stabilità e Crescita (momentaneamente sospeso per via della pandemia). Nessun patto del genere esiste a Washington D.C. Con NG-EU, dunque, l’Ue ha superato la metà del guado ma, se si riaffermerà l’ortodossia frugale, sarà destinata a ritornare indietro. Con quella ortodossia, i governi nazionali riprenderanno il controllo della politica fiscale, imponendo le loro idiosincrasie ed egoismi. Ecco perché è necessario che NG-EU conduca ad un bilancio europeo indipendente dagli stati (Bruno Le Maire), un bilancio utilizzabile per produrre beni pubblici europei (dalle infrastrutture alla difesa) e non solamente per aiutare gli stati ad affrontare crisi specifiche. Un bilancio quindi gestito da un potere esecutivo, indipendente dai governi nazionali, sottoposto al controllo del potere legislativo oltre che giudiziario. Invece di gridare al (futuro) fallimento di Bruxelles, si dica piuttosto cosa fare per liberare Bruxelles dai vincoli fiscali imposti dai governi nazionali.

Insomma, è vero che l’Ue non sta facendo una bella figura nella gestione della vaccinazione anti-pandemica, così come è plausibile che potrebbe fare una brutta figura nella futura gestione della ripresa post-pandemica. Tuttavia, è troppo facile gridare al fallimento di Bruxelles, esonerandosi dal proporre soluzioni per prevenirlo. Per dirla con Francois Furet, le critiche parassitarie hanno sempre generato contesti peggiori di quelli criticati. Non è il caso di ricordiacelo?

Questo articolo è precedentemente apparso sul Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Sergio Fabbrini è professore di Scienza politica e Relazioni internazionali e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss. È anche Pierre Keller Professor presso la Harvard Kennedy School. 


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