Politiche giovanili. L’inazione dell’Italia

1 aprile 2021
Editoriale Europe
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Mai come in questi mesi sono stati presentati studi e indagini volti a delineare il futuro professionale dei nostri giovani, tracciandone il percorso ideale per raggiungerlo (competenze necessarie, abilità, esperienze). L’elenco dei centri di ricerca ed esperti nazionali e internazionali che si sono cimentati in questo affascinante esercizio è molto lungo, ma è possibile identificare un filo conduttore di questo enorme e globale sforzo previsivo.

L’elemento comune è la convinzione che i rapidi mutamenti dei processi produttivi di merci e servizi, spinti dalla digitalizzazione, e i mutati stili di vita e di consumo (accelerati dalla pandemia ma anche dal percorso di trasformazione ecologica in atto) avranno un impatto dirompente sul futuro mercato del lavoro e a cascata sulle competenze e le abilità richieste ai nostri attuali studenti per entrarvi e rimanervi.

La minaccia dell’automazione e della possibile perdita di occupati nei comparti e nelle professioni tradizionali di questo mercato, non è tuttavia il vero nemico, se si considera che grazie alla creatività, che ciascuno di noi- in maggiore o minore misura- ha, ci permetterà di svolgere sempre più quelle azioni non ripetitive che nessuna intelligenza artificiale sarebbe mai in grado di compiere. A questo si aggiunga l’empatia e la nostra stessa “umanità” -anche questa posseduta con gradazioni diverse – che permetterà ai lavoratori di domani di offrire quella cura e attenzione che nessun robot potrà mai assicurare.

Nel medio lungo periodo, parlando sotto il profilo sociale ed economico, non è una minaccia neppure la pandemia, se si riesce a contrastarne l’impatto negativo e discriminante che sta ora avendo sui giovani studenti, complice la didattica a distanza forzata, prevedendo per il futuro azioni di prevenzione (piano vaccini) e di sostegno alla resilienza (nuove forme di didattica “ibride”). Il nemico non è un esponente politico o un partito o movimento politico, il nemico non è neppure la politica, necessario e prezioso strumento di guida e di sintesi degli interessi in gioco e soluzioni possibili a un problema.

Infine, le minacce a un futuro per i nostri giovani non vanno ricercate neanche nella crescente competitività internazionale europea ed extraeuropea, né nel rischio di nuove ondate pandemiche.

Non ci sono dunque alibi ed è chiaro che se i nostri giovani non saranno competitivi sul mercato del lavoro nel 2025 o nel 2030, la colpa sarà soltanto dell’inazione. Il vero nemico è l’immobilismo italico e la tradizionale miopia che da diversi decenni affligge i nostri governanti che (tanti) si sono avvicendati alla guida del Paese. Il nemico non è un esponente politico o un partito o movimento politico, il nemico non è neppure la politica, necessario e prezioso strumento di guida e di sintesi degli interessi in gioco e soluzioni possibili a un problema.

Il nemico è la presunzione e l’arroganza di volere costruire un ponte senza progettarlo con grande precisione prima, fissando e poi rispettando le varie fasi della costruzione dell’opera. Quel ponte non è sufficiente descriverlo in un piano, bisogna costruirlo preoccupandosi di avere il materiale e la manodopera necessaria.

Le più evidenti orme del nostro nemico sono il progressivo e costante arretramento, in questo nuovo millennio, di tutti gli indicatori sulla competitività, sull’occupazione femminile, sulla disoccupazione giovanile, sulla produttività del sistema paese Italia. Sono i 36 miliardi di euro di fondi europei della programmazione 2014-2020 ancora non spesi, cioè il 50% della dotazione e si badi bene, il problema non sono solo le regioni del sud. La Lombardia ha speso appena il 34% delle risorse per lo sviluppo regionale, il 53% per la formazione e le misure attive del lavoro e il 56% per lo sviluppo rurale.

Oggi il nemico è l’inerzia con la quale (purtroppo) anche il nuovo governo Draghi e il suo ministro dell’economia Franco ancora ricalca le orme dei predecessori che, nella stesura del Piano  Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), chiamato a impegnare oltre 200 miliardi di euro da qui al 2023, non ha previsto un pilastro per le politiche giovanili, contravvenendo alle chiare indicazioni di Bruxelles che lo ha indicato non solo nelle linee guida diramate a gennaio scorso dalla Commissione europea, ma addirittura nel regolamento (2021/241) che ha febbraio ha formalmente introdotto il famoso “recovery plan”, cioè il dispositivo che finanzierà oltre il 90% del nostro Piano di Ripresa e Resilienza con sovvenzioni e prestiti e ignorando l’accorato appello del Consiglio Nazionale Giovani, l’organo consultivo dello Stato che fornisce orientamenti proprio su questo tema.

Alcuni paesi, come la Francia e il Portogallo già si sono adeguati a questo richiamo, fortemente voluto dal Parlamento europeo che è stato chiamato a co-decidere sull’impegno delle risorse del “Recovery plan”. Altri, come la Spagna, non hanno previsto un pilastro autonomo, ma hanno destinato alle politiche giovanili oltre il 11% delle risorse a disposizione, contro poco più del 7% destinate allo scopo dal nostro paese.

Perché appassionarci a descrivere il mondo di domani se oggi non ci assicuriamo il materiale necessario per costruire il ponte che permetterebbe ai nostri ragazzi e ragazze di raggiungerlo? Possiamo anche immaginare e indovinare la strategia vincente per dotare i giovani delle competenze che la transizione digitale ed ecologica chiederà ai lavoratori di domani, ma se oltre ai lavoratori non ci preoccupiamo di creare il lavoro sostenendo l’autoimpiego, l’imprenditorialità giovanile e le imprese attive nelle filiere potenzialmente più ricettive di giovani risorse, non faremo altro che spingere i nostri giovani a lasciare l’Italia, per cercare fortuna altrove, con la certezza che la troveranno perché sono capaci, ma senza contribuire alla ripresa del nostro paese.

C’è tempo voi direte, per rimodulare il nostro piano, indirizzandolo nella direzione che giustamente l’Unione europea ci consiglia. No, c’è ancora tempo ma questo tempo sta per finire.

Una data, un termine? Si, il 30 aprile, quando il nostro governo trasmetterà a Bruxelles il piano nazionale di ripresa e resilienza, per oltre il 90% sostenuto da prestiti che i nostri giovani saranno chiamati a onorare sino al 2058. Il futuro inizia proprio il 30 aprile 2021. Poi la nave mollerà gli ormeggi, sperando non abbia lasciato a terra i marinai che dovranno condurla nei prossimi decenni in un mare incerto.

 

Questo articolo è  apparso domenica 28 marzo 2021 su l’inserto culturale l’Ordine de La Provincia di Como. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Luciano Monti è docente di Politiche dell’Unione Europa alla Luiss e condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini


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