Contro la diplomazia dei vaccini. Perché un impegno internazionale condiviso aiuterebbe a superare i ritardi

8 aprile 2021
Editoriale Europe | Focus Ripresa
FacebookFacebook MessengerTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Nel messaggio pasquale Urbi et Orbi, Papa Francesco è tornato di nuovo a segnalare come i “in questo tempo in cui tutti siamo chiamati a combattere la pandemia (…)  i vaccini costituiscono uno strumento essenziale per questa lotta” ed ha esortato, nello spirito di un internazionalismo dei vaccini, “l’intera Comunità internazionale a un impegno condiviso per superare i ritardi nella loro distribuzione e favorirne la condivisione, specialmente con i Paesi più poveri”.

Questo auspicio e questa esortazione sono molto significativi perché se da un lato ricordano agli egoismi nazionali come la pandemia possa essere efficacemente superata soltanto se la copertura vaccinale sia estesa all’intera popolazione mondiale (e con il ritmo più sostenuto possibile), dall’altro lato non indulgono a proposte semplicistiche, né alimentano scorciatoie pauperistiche, di impossibile realizzazione e controproducenti effetti.

Il riferimento è, in particolare, a quelle proposte avanzate dal Premio Nobel per la pace Mohammad Yunus e da altri autorevoli paladini dei diritti umani volte a caducare i diritti di esclusiva connessi alla titolarità dei brevetti dei vaccini anti Covid. La proposta è stata condivisa da alcuni importanti Paesi in via di sviluppo che l’hanno avanzata a marzo scorso in occasione di una riunione del Consiglio sui  Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (Trips) dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto). Come ricostruiscono l’emittente britannica Bbc e altre fonti della stampa internazionale, l’iniziativa non ha trovato accoglienza. La maggioranza dei Paesi presenti, infatti, sono convinti che i diritti connessi alla titolarità dei brevetti costituiscano importanti incentivi all’innovazione e le regole in merito sarebbero state rese già sufficientemente flessibili durante la pandemia.

Ed è proprio questo aspetto che non può essere trascurato nella ricerca di una soluzione al problema: nel medio periodo, misure straordinarie sui brevetti determinerebbero un grave disincentivo per le imprese farmaceutiche nell’investire in ricerca, laboratori e personale. Ciò senza dire dei problemi giuridici: sospendere l’esclusiva propria dei brevetti determinerebbe -quantomeno temporaneamente- un vero e proprio esproprio in danno di chi legittimamente ne vanta la titolarità.  Si porrebbe quindi, alla stregua delle garanzie costituzionali dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri (così come di quelle di molte altre Nazioni) un tema di compensazione dei costi sostenuto dalle Imprese che hanno sviluppato i vaccini e di indennizzo per le perdite prodotte in termini di minori profitti.

Peraltro, il costo dei vaccini è solo uno (e non certo il maggiore) degli ostacoli che si pongono per assicurare una copertura vaccinale estesa anche nei Paesi meno sviluppati. Come dimostrano le gravi difficoltà delle campagne vaccinali dei Paesi più sviluppati, i problemi più significativi riguardano l’approvvigionamento dei vaccini e non il loro costo. A prescindere dai diritti (e dai profitti) derivanti dall’utilizzazione dei brevetti, infatti, è oramai ben evidente che bisogna aumentare il numero degli stabilimenti produttivi e la produttività di quelli già esistenti.

Se quindi il problema principale è connesso alla produzione dei vaccini ed alla loro distribuzione, la domanda di giustizia sociale che viene dai Paesi meno sviluppati può trovare una risposta efficace soltanto attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale e avvalendosi delle Istituzioni sovranazionali che di tale cooperazione sono gli alfieri, a cominciare dalle Nazioni Unite e dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Si rende necessario, infatti, il concorso di tutti gli Stati che a tali Istituzioni aderiscono per supportare lo straordinario sforzo finanziario, industriale ed organizzativo necessario per assicurare la diffusione del vaccino anche ai Paesi meno sviluppati.

Questo sforzo comune e condiviso, peraltro, produrrebbe anche l’utile effetto di porre fine a quella distonica “diplomazia dei vaccini” che alcuni Paesi (si pensi alla Federazione Russa o alla Cina) hanno già avviato in ragione dei loro più complessivi interessi geopolitici.

L'autore

Aristide Police è Ordinario di Diritto Amministrativo nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Luiss.


Newsletter