Per il tribunale di Milano è falso in bilancio. La linea dura contro la Monte Dei Paschi di Siena

18 aprile 2021
Editoriale Sostiene la corte
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Lo scorso 15 ottobre il Tribunale di Milano ha deciso sulla complessa vicenda relativa ai reati di falso in bilancio (false comunicazioni sociali secondo la terminologia usata dal codice civile) e manipolazione del mercato contestati al presidente e all’amministratore delegato della Banca Monte dei Paschi di Siena oltre che alla Banca stessa, quale persona giuridica, nella forma dell’illecito amministrativo dipendente da reato (ex Dlgs 231/01).

Con ritardo rispetto ai 90 giorni previsti al momento della lettura del dispositivo, il 7 aprile sono state depositate le oltre 300 pagine contenenti le motivazioni della sentenza laddove è illustrato l’iter motivazionale che ha portato la seconda sezione penale del Tribunale di Milano, presidente Tanga e giudice estensore Saba, a comminare delle severe pene per l’ex presidente della Banca Alessandro Profumo e per l’ex amministratore delegato Fabrizio Viola, condannati a 6 anni di reclusione e a versare 2,5 milioni di euro di multa.

Condannato per false comunicazioni sociali anche il presidente del collegio sindacale della banca, Paolo Salvadori, a cui venivano inflitti 3 anni e 6 mesi di reclusione mentre è di 800.000 euro la sanzione amministrativa comminata alla Banca per l’illecito amministrativo.

La sentenza ha destato una certa sorpresa nella comunità dei giuristi così come nel mondo dell’economia perché è stata comminata a dispetto della posizione espressa e ripetuta dalla Procura di Milano sia all’esito delle indagini compiute che in occasione della discussione finale. La Procura chiedeva, infatti, prima l’archiviazione del procedimento e poi l’assoluzione con le formule del “perché il fatto non sussiste” (capi A1, B e C) e “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” (capi A2 ed A3).

La posizione della Procura è stata motivata essenzialmente in ragione della difficoltà di ravvisare gli elementi costitutivi del dolo, necessario per ritenere integrati i reati come contestati.

Ha suscitato un certo clamore, inoltre, la comminazione di sanzioni senza dubbio severe nei confronti di soggetti che pure sono stati duramente impegnati nell’opera di risanamento della Banca intervenuta dopo le note vicende che avevano portato alla defenestrazione del precedente management destinatario, a sua volta, di condanne severe all’esito dei processi che avevano ripercorso le fasi dell’indebitamento e della gravissima crisi economica da cui è scaturita la profonda crisi di quello che è stato a lungo il terzo gruppo bancario italiano.

A dispetto delle richieste della Procura, seguendo le indicazioni delle numerose parti civili costituite, la scelta del Tribunale è stata quella della condanna per i capi B e C, dichiarando invece la prescrizione per il capo A1 (sempre un’ipotesi di false comunicazioni sociali derubricata nella meno grave ipotesi contravvenzionale, con un conseguente più breve termine di prescrizione) e l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” per i capi A2 ed A3 (ulteriori ipotesi di falso in bilancio).

La società veniva sanzionata, come detto, per i paralleli illeciti amministrativi dipendenti dai reati (sulla scorta della disciplina della responsabilità amministrativa delle società e degli enti contenuta nel Dlgs 231/01).

Il corpo della sentenza contiene inoltre dure valutazioni circa l’operato degli organi di controllo interni della banca, a partire dai sindaci, con la condanna del Presidente del collegio sindacale, sino all’Organismo di Vigilanza (OdV) nei confronti del quale i giudici milanesi usano parole assai severe che servono a fondare l’affermazione di responsabilità della persona giuridica; secondo il Tribunale “l’organismo di vigilanza – pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo (…) ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti”.

Quanto al tema delle false comunicazioni sociali, ipotesi prevista e punita dall’art. 2622 c.c., il Tribunale ha aderito all’indirizzo interpretativo da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite del 2016, nella sentenza n. 22474, che ravvisa la responsabilità nella mancata aderenza ai parametri valutativi prescelti, secondo il criterio della c.d. verità coerente (con le opzioni valutative adottate).

Secondo i giudici alla luce di tale opzione il bilancio rimane un documento essenzialmente valutativo per cui la falsità deriva dalla violazione del parametro di giudizio assunto, ben potendo d’altra parte il redattore del bilancio discostarsi dai criteri considerati prevalenti purché di tale deroga offra una adeguata informazione giustificativa nella nota integrativa che rappresenta, appunto, la chiave di lettura della comunicazione sociale affinché i destinatari possano essere edotti dei criteri adottati.

L’altra fattispecie penale oggetto di contestazione, quella di cui all’art. 185 (manipolazione del mercato) del Dlgs 58/98 che reca il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) è posta, secondo l’interpretazione prevalente ripresa dalla sentenza, a tutela del regolare funzionamento dei mercati intesi quale bene pubblico d’interesse collettivo, essendo il mercato unico dei servizi finanziari cruciale per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro nell’Unione europea (come ribadito dalla Direttiva 2003/6/CE che ha imposto la riforma anche delle fattispecie penali recepite dal richiamato Testo unico in materia finanziaria).

Secondo l’impostazione assunta tale regolare funzionamento tutela, di riflesso, anche il patrimonio individuale dei singoli investitori che la normativa mira dunque a proteggere.  La correlata disciplina penale sanziona, conseguentemente, la diffusione di notizie e l’esecuzione di operazioni simulate idonee a determinare l’alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. Secondo il Tribunale il reato in questione risulta perfezionato mediante la mera diffusione di notizie false, in qualsiasi modo realizzata, sempre che tale condotta si configuri idonea a produrre effetti concretamente distorsivi del mercato con una chiara opzione, dunque, per il modello di reato istantaneo di mera condotta (di pericolo concreto) ed a forma libera.

Di sicuro rilievo giuridico è, inoltre, anche la ricostruzione operata dal Tribunale con riferimento ai poteri del collegio sindacale; attribuzione di poteri e prerogative dalle quali far derivare la posizione di garanzia e la conseguente responsabilità penale secondo lo schema del concorso omissivo nel reato commissivo, per non aver impedito la perpetrazione dei delitti di false comunicazioni sociali.

Ora spetta ai difensori delle parti imputate che hanno preannunciato ricorso in appello al fine di ottenere la riforma di una sentenza che pone notevoli questioni in tema di responsabilità penale per fatti connessi alla gestione di un istituto finanziario, ribadendo con forza il ruolo e la centralità degli organi di controllo interni.

 

 

 

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L'autore

Amedeo Barletta, avvocato cassazionista, dottore di ricerca e titolare di docenza integrativa presso l’Università Luiss di Roma, è membro dell’Advisory Board della European Criminal Bar Association e responsabile dell’Osservatorio Europa di UCPI.


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