La supremazia strategica si gioca sui semiconduttori

20 aprile 2021
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Pionieri dell’industria microelettronica, gli Stati Uniti stanno gradualmente perdendo il vantaggio competitivo di cui disponevano nella progettazione e produzione di semiconduttori, a dispetto del ruolo ancora rilevante in ricerca e sviluppo svolto dalle sue università e aziende. Leader mondiale del mercato è Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (TSMC) con una quota del 28 %; segue UMC (13%), anch’essa di Taiwan, quindi la cinese SMIC (11%) e la coreana Samsung (10%).

I chip sono ormai diventati, al pari dei vaccini, risorse indispensabili per ogni Stato: ecco perché la loro produzione ha ormai assunto connotati geopolitici. Se la capacità militare nei secoli precedenti era basata sui fucili a retrocarica, le navi da guerra o le bombe atomiche, nel 21° secolo potrebbe dipendere dall’uso dei sistemi tecnologici avanzati che alimentano le applicazioni dell’intelligenza artificiale, come spiega John Thornhill, sul Financial Times del 26 febbraio 2021.

Il problema è che mentre Intel, il principale produttore statunitense, sta perdendo posizioni, la Cina, che non è ancora autosufficiente e spende più per importare chip per computer che per acquistare petrolio, sta sviluppando la propria industria per ridurre la dipendenza dai fornitori d’oltremare e diventare leader mondiale entro il 2030 investendovi ingenti risorse finanziarie.

Come indica la Relazione finale della Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale del 1° marzo 2021 (NSCAI), negli Stati Uniti sono a rischio indipendenza tecnologica e sicurezza nazionale insieme alla bilancia commerciale. La dipendenza dalle importazioni in particolare da Taiwan, oltre alla mancanza di impianti nazionale per la produzione di prodotti all’avanguardia crea una pericolosa vulnerabilità strategica per l’economia e la difesa (l’esercito è infatti un importante fruitore di microelettronica avanzata).  Consapevoli della propria debolezza, anche Giappone e UE stanno intensificando i propri sforzi per promuovere proprie industrie di semiconduttori, a beneficio di innovazione tecnologica e occupazione.

TSMC sta investendo 20 miliardi di dollari in un colossale impianto di produzione a Taiwan, a dimostrazione di una domanda in crescita esponenziale, alimentata dalle vendite di smartphone, PC ad alte prestazioni e dalla tecnologia mobile 5G. Dalle attrezzature mediche agli aerei da guerra F-35, i chip di TSMC rappresentano circa il 55% delle vendite globali di semiconduttori. TSMC, che aveva Huawei fra i suoi migliori clienti, è anche leader nella produzione di chip basati su ARM, che sta diventando l’architettura tecnologica predominante per dispositivi mobili, server e altre applicazioni emergenti. Il ruolo di questa società nell’industria globale dei semiconduttori, per capacità di spesa, investimenti, esperienza e rete di fornitori, è indicata come una delle ragioni per cui la Cina continentale potrebbe ancora invadere Taiwan.

Come molte altre aziende in un mondo ormai polarizzato, la preoccupazione maggiore per TSMC è la crescente tensione geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Si stanno infatti delineando a livello internazionale, come aveva preconizzato il Munich Security Report 2020, due distinte catene di fornitura, l’una dominata dalla Cina, l’altra dagli Stati Uniti e in questo caso TSMC, con due impianti di fabbricazione in Cina e uno nello stato americano di Washington (con un altro previsto in Arizona), si trova ormai costretta a fare una scelta, scontata ma dolorosa.

Questo articolo è precedentemente apparso su Airpress. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Maurizio Mensi è Professore SNA e Luiss Guido Carli, direttore esecutivo del Centro MENA-OCSE Governance Programme Training.


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