La qualità degli aiuti che fa la differenza. Ecco come il decreto Sostegni-bis potrà davvero aiutare il rilancio dell’economia
26 aprile 2021
Cosa cambierà con questo nuovo round di sostegni dello Stato alle imprese in difficoltà per la pandemia e per i blocchi alle attività che ne sono discesi?
C’è un tema di “quantità” degli aiuti alle imprese, e su questo osserviamo per fortuna un incremento delle risorse messe a disposizione dal Governo. Poi c’è un tema di “qualità” degli stessi sostegni, su cui sta lavorando soprattutto il Ministero dello Sviluppo Economico. L’idea, finalmente, è quella di puntare a sostegni che non siano “a pioggia” e quindi basati soltanto sulla dinamica del fatturato delle imprese. è più efficace considerare l’andamento del risultato operativo – lordo o netto – oppure addirittura dell’utile aziendale. Solo in questo modo i sostegni potranno premiare le imprese che hanno maggiormente sofferto a seguito della contrazione del loro business.
Proviamo a spiegare in termini i più semplici possibili perché un sostegno attribuito sulla base del solo fatturato potrebbe essere distorsivo…
Provo con un esempio “di scuola”, che ovviamente semplifica e non coglie tutte le possibili fattispecie, ma dovrebbe chiarire il “nocciolo” della questione L’azienda“A” prima della pandemia aveva un fatturato pari a 100 e oggi invece fattura 20. Ha perso 80; moltissimo, non c’è dubbio. Ma dobbiamo considerare anche la dinamica dei costi nello stesso periodo. Se i costi erano pari a 50 prima della pandemia, e oggi sono stati ridotti a 5, il fatturato è crollato ma l’azienda è ancora saldamente in utile (20-5=15). Pensiamo ora a un’azienda di nome “B”, che prima della pandemia aveva identico fatturato (100) e stessi costi (50) dell’azienda “A”. Dopo la pandemia, anche il fatturato di “B” è sceso a 20, ma i costi sono diminuiti solo a 40. Quindi identica perdita di fatturato di “A” (da 100 a 20), ma l’azienda “B” sta molto peggio, essendo finita abbondantemente in perdita (20-40=-20)). Nella maggior parte dei casi, la peggiore situazione economica dell’azienda di tipo “B” deriva dal fatto che essa ha cercato di mantenere il più possibile l’occupazione, assolvere a impegni pregressi con i fornitori; continuare almeno in parte le attività produttive; pagare le varie spese generali. È chiaro che è su aziende di questo genere che andrebbero principalmente concentrati i “ristori”.
Per evitare di distribuire “soldi a pioggia”, dunque, secondo lei si dovrebbero ristorare le aziende non in funzione della riduzione del fatturato ma dell’utile o del margine operativo?
Esattamente. Come detto, considerare il margine operativo lordo è più efficace perché sostiene le aziende che non possono o non vogliono contrarre le spese, a partire dalle spese per i lavoratori: sono premiati quegli imprenditori che non licenziano, nonostante la riduzione del business. Oppure pensiamo agli investimenti. Chi aveva intrapreso investimenti pro-crescita alla vigilia della pandemia, avrà bilanci appesantiti dagli ammortamenti. Ora, è vero che è stata introdotta una norma che per quest’anno permette alle aziende di far slittare la quota di ammortamenti ma un appesantimento dei bilanci nei prossimi anni sarebbe comunque da mettere in conto. In questa prospettiva, l’indicatore più indicato sarebbe il margine operativo netto. Infine, se si considerasse la variazione dell’utile come riferimento per assegnare i sostegni, si potrebbe tenere conto anche dell’indebitamento e del conseguente peso degli oneri finanziari.
In audizione parlamentare sul DEF, il Centro Studi di Confindustria ha osservato che il crollo del cash flow mette a rischio la sopravvivenza anche di quelle imprese che prima della pandemia avevano bilanci e prospettive solide. Cosa vuol dire?
In linea generale, un’azienda che riesce ad avere flussi di cassa positivi può “resistere” pure in condizioni di economicità negativa, anche se, naturalmente, solo per un po’ di tempo. Al contrario, un’impresa profittevole, se ha flussi di cassa negativi, può paradossalmente entrare in crisi; ad esempio, perché fattura molto, ma non incassa i crediti derivanti dalle vendite. Per giunta, questa crisi arriva rapidamente se l’azienda ha anche difficoltà di accesso al credito. Quindi, il crollo dei flussi di cassa rilevato a livello aggregato da Confindustria implica che anche molte aziende “sane” sono oggi a rischio di sopravvivenza. Anche in questo caso, sono particolarmente penalizzate le imprese che “onorano i propri impegni”, cioè effettuano i pagamenti dovuti, innanzitutto verso i lavoratori e i fornitori. Queste sono quindi le aziende che andrebbero sostenute. Diviene urgente agire affinché i grandi “clienti” rispettino i tempi di pagamento, e questi “grandi clienti” sono spesso la Pubblica Amministrazione, ma anche qualche grande Gruppo che sfrutta il suo potere contrattuale verso le PMI.
Tra ristori e sostegni, non si dovrà però introdurre – come avviene per la selettività del blocco dei licenziamenti – una qualche selettività anche degli aiuti alle imprese?
Dietro le imprese, ricordiamolo, ci sono imprenditori, cioè persone, famiglie, collaboratori e lavoratori. Quindi, se accettiamo di aiutare meno determinati settori dobbiamo attivare misure sociali a sostegno di persone, imprenditori e lavoratori che vi operano. Individuate queste misure sociali, certamente le risorse vanno usate con selettività, concentrate dove sono più in grado di generare ricchezza sia per finanziare le misure sociali, sia per ripagare il debito pubblico che abbiamo dovuto far crescere ancora.
Oggi più che mai abbiamo bisogno dei famosi “statisti” di cui parlava Alcide De Gasperi, capaci di guardare lontano e far capire a tutti che questo è necessario. Nella nostra fattispecie, significa investire per favorire uno sviluppo sostenibile in una fase storica in cui, per un verso, il declino di alcuni comparti e tipologie di imprese è ormai ineluttabile; ma per l’altro, si stanno aprendo anche grandissime nuove opportunità. È essenziale accompagnare e sostenere coloro che accettano la sfida del nuovo, investendo in tecnologie digitali, economia circolare e sviluppo nei mercati esteri. L’industria italiana è rimasta forte nonostante le due pesantissime crisi di questi primi vent’anni del Ventunesimo secolo; solo per citarne alcuni, la meccanica, il chimico-farmaceutico, i settori del “made in Italy” e l’energia hanno continuato a innovare e hanno guadagnato quote di mercato a livello internazionale. La competitività delle imprese in questi e altri comparti è una leva essenziale per il rilancio di tutto il Paese. E per questo non servono solo le risorse finanziarie; altrettanto importante è la semplificazione normativa e burocratica; snellire i processi, garantire certezza del diritto. Problemi che anche in passato hanno ridotto la forza delle nostre imprese e che in questa situazione rischiano di diventare letali.
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