Un nuovo Spaziotempo educativo
8 maggio 2021
L’utilizzo di ambienti digitali – imposto dal Covid19 – per l’erogazione della didattica ha generato interessanti proposte sulle dimensioni strutturali e strutturanti delle istituzioni universitarie. Il pensiero di John Henry Newman sulla natura e sugli scopi delle università è un utile base per riflettere sulle sfide che le università dovranno affrontare nell’era post pandemica. Per dirla con Winston Churchill, la pandemia rappresenta una opportunità di invenzione e costruzione del futuro delle istituzioni universitarie. Queste ultime, infatti, connettono passato e futuro in ed attraverso spazi di confronto intellettuale ed esperienze di apprendimento. Il binomio spazio-tempo è connaturato all’azione educativa e – a mio avviso – costituisce la sfida sulla quale le università dovranno misurarsi. Dobbiamo interrogarci, ad esempio, se l’azione educativa rappresenti ancora un appuntamento intergenerazionale o debba cedere il passo all’apprendimento tra pari; ovvero se gli spazi fisici debbano essere superati da quelli digitali. Il processo di digitalizzazione sta infatti plasmando le nozioni di spazio e di tempo e creando le basi per un nuovo ‘spaziotempo educativo’.
Nelle parole di Newman, l’università è “un luogo di comunicazione e circolazione del pensiero, per mezzo di rapporti personali”. Definendo le università quali “aggregazioni di stranieri da tutte le parti in un luogo”, Newman anticipava la nozione di diversità quale dimensione fondante dell’azione educativa: “stranieri da tutte le parti” suggerisce una ampia accezione di diversità che comprende generi, culture, etnie, lingue, discipline, e generazioni. Le diversità rappresentano opportunità di arricchimento personale e professionale perché creano le basi per sviluppare abilità di dialogo e lavoro con ‘altri’ e quindi plasmare visioni originali di interpretazione e costruzione del futuro. Essere esposti a culture ‘altre’ permette di comprendere meglio gli altri, le loro tradizioni, stili di vita, pensieri, e se stessi: le culture lontane mettono a fuoco i valori sottesi alla propria cultura, sottolineandone limiti e virtù. L’esposizione all’alterità sviluppa tolleranza e indipendenza: come le neuroscienze hanno dimostrato, da queste intersezioni emerge la plasticità neuronale che costituisce un antidoto delle sclerosi, e nel contempo un fattore che abilita la produzione di nuovi stili e approcci cognitivi.
Le diversità secondo Newman si incontrano e si confrontano negli spazi. La quintessenza dell’azione educativa alligna nel concetto di radicamento nel contesto culturale, poiché la circolazione del sapere avviene “attraverso un’ampia estensione del paese in cui sono presenti” le università. “[N]essun libro – prosegue Newman – può contenere lo spirito speciale e le delicate peculiarità dei propri argomenti” che invece accadono “attraverso gli occhi, lo sguardo, l’accento e il modo, in espressioni casuali lanciate al momento, e le svolte non studiate di conversazioni familiari” tipiche dell’interazione empatica tra mente e mente. L’idea di azione educativa radicata nel contesto culturale è ancora più vivida nel seguente suggerimento “il dettaglio, il colore, il tono dell’aria, la vita che lo fa vivere in noi, devi cogliere tutto questo da chi già vive.”
Il pensiero di Newman è foriero della ‘teoria dell’azione situata’, secondo la quale l’apprendimento è informato dalla cornice socioculturale in cui avviene. Il contesto dell’apprendimento non può essere distinto da (o subordinato a) quanto viene appreso, ma anzi contribuisce all’apprendimento stesso. Seguendo questa teoria, l’apprendimento non è mai separato dal contesto. La ricchezza dell’apprendimento è legata non solo alle interazioni in divenire nel campus stricto sensu ma nel più ampio contesto culturale di cui è impregnato lo stesso campus. Più di tre secoli fa, era costume per la nobiltà tedesca e britannica mandare i giovani in viaggi educativi in Italia, chiamati ‘Grand Tour’. Si credeva nell’educazione situata, ed in particolare alle esperienze formative italiane che esponevano i giovani ad una tradizione culturale in fermento e ricca di spunti creativi nelle arti e nelle scienze. La percezione a livello internazionale dell’Italia rinascimentale era quello di un vero e proprio ecosistema dell’innovazione ante litteram che può essere etichettato ‘Educated in Italy’.
Per tornare ad essere attrattivo a livello internazionale, il sistema Paese potrebbe fare leva sui fattori contestuali ‘dati’ (la tradizione storico-culturale, appunto) per potenziare i fattori contestuali ‘formati’ dal processo di apprendimento. Le università, quindi, potrebbero porre enfasi sul loro ruolo di luoghi di sperimentazione e confronto con attori diversi per co-progettare percorsi educativi collaborativi declinati sulle idiosincrasie culturali del Paese. L’accelerazione dei processi di digitalizzazione imposti dalla pandemia ci invita a ripensare la ‘teoria dell’azione situata’ ed il pensiero di Newman per una riconfigurazione digitale degli spazi del sapere che possa valorizzare la dimensione storico-culturale del Paese. La sfida per le istituzioni universitarie è di poter ‘situare’ digitalmente l’apprendimento: la contestualizzazione dell’apprendimento necessita di una ‘traduzione digitale della tradizione’ per creare un nuovo ‘spaziotempo educativo’.
Questo articolo è precedentemente apparso su Corriere della Sera. Riprodotto per gentile concessione.
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