“Ecco perché il mio Paese è nella morsa della pandemia”. Un’analisi sulla crisi sanitaria in India

11 maggio 2021
Editoriale Focus Ripresa
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L’India in questo momento è investita con violenza da una seconda ondata della pandemia da Covid-19. Il numero di contagi ha superato quota 400.000 al giorno e i decessi sono oltre 4.000 ogni 24 ore. Queste cifre, fra l’altro, sarebbero drammaticamente più elevate se non fossimo in presenza di un numero limitato di tamponi effettuato ogni giorno, se avessimo davvero contezza di tutti i decessi nel Paese e delle cause degli stessi.

Perché questa seconda ondata è stata molto più letale della prima che ha colpito l’India a partire dalla primavera dello scorso anno?

Una possibile ragione, secondo gli epidemiologi, è innanzitutto la variante B.1.617 del virus che è nata proprio in India, caratterizzata da mutazioni genetiche che ne accrescono la trasmissibilità, anche tra i giovani. Tracce della stessa variante sono state rivenute pure negli Stati Uniti, nel Regno Unito e altri Paesi europei fra cui l’Italia. In questa seconda ondata, dunque, il vantaggio di avere una popolazione mediamente più giovane che in altre parti del pianeta – come l’Europa – sembra aver giocato un ruolo meno decisivo per ragioni epidemiologiche.

Stavolta, inoltre, le chiusure anti-contagio sembrano essere stato meno efficaci di un anno fa. Durante la prima ondata, nel maggio 2020, l’India impose un lockdown nazionale che fu criticato, fra l’altro, perché giudicato troppo frettoloso. Esso comportò una forte caduta delle attività economiche e un esodo massiccio dei lavoratori migranti dalle città e dai centri urbani alla volta delle loro case nei paesini più piccoli. Il Paese comunque superò la prima ondata con un certo successo, il che ha generato forse anche un eccesso di fiducia nella capacità di controllare il virus. Nella seconda ondata, invece, la decisione di stabilire i lockdown è stata delegata agli Stati e ai governi locali sulla base del numero dei contagi che, a livello “micro” appunto, sono noti con maggiore rapidità. Si è puntato dunque a un approccio “mirato” per il controllo della diffusione del virus, approccio adottato anche da altri Paesi, nel tentativo tra l’altro di non aggravare la “lockdown fatigue” causata da chiusure generalizzate. Da osservare pure che quest’anno il Paese si trovava in una situazione di partenza in cui i salari erano già scesi in media del 40% lo scorso anno, inoltre domanda e produzione rallentano a causa dei timori di contagio, il che lascia presagire che assisteremo a un declino ancora più marcato dell’economia di quello generato dallo shock sul lato dell’offerta durante il primo lockdown. È in un quadro simile, peraltro, che si sono tenuti alcuni eventi super-spreader piuttosto criticati (a posteriori), tra imponenti manifestazioni politiche e celebrazioni religiose. Dai lockdown decentrati agli assembramenti consentiti, siamo di fronte a decisioni politiche attualmente molto criticate o comunque discusse sulle prime pagine di tutti i principali giornali.

Quindi c’è la variabile “vaccinazioni”. I due principali vaccini utilizzati in India sono entrambi prodotti nel Paese. AstraZeneca collabora con l’indiano Serum Institute per produrre Covidshield che rappresenta la maggior parte delle dosi utilizzate, mentre Covaxin è stato sviluppato dalla locale Bharat Bioshield. Al momento in India sono state somministrate oltre 160 milioni di dosi di vaccino, il che corrisponde al 9% della popolazione, mentre 29 milioni di cittadini hanno avuto entrambe le dosi. A questa velocità, ci vorrebbero due anni e mezzo per vaccinare l’intera popolazione. Ma se l’India è da anni nota come “la farmacia del mondo”, non era possibile muoversi più rapidamente? Va detto che il Paese ha esportato almeno 60 milioni di dosi di vaccino alla volta di oltre 70 Paesi per combattere la pandemia. Nelle recenti settimane, proprio mentre le Case farmaceutiche locali si impegnavano per garantire gli ordinativi, il numero di casi di Covid-19 è salito rapidamente e in maniera non prevista a causa della nuova variante del virus. Il governo centrale non ha visto arrivare tutto ciò e quindi non ha disposto acquisti straordinari di vaccini dai produttori domestici. In questo momento l’esportazione di vaccini dall’India è stata proibita, la produzione dovrebbe arrivare dunque a soddisfare la domanda domestica, ma con qualche ritardo.

Infine, la virulenza della nuova variante ha colto di sorpresa tanto la popolazione quanto le autorità e le strutture sanitarie. La nuova variante è diffusa rapidamente causando decine di migliaia di morti. Le lentezze della campagna vaccinale, soprattutto nella forza lavoro, si è tradotta in tassi di positività elevati. Le strutture sanitarie, in molte parti del Paese, non sono state in grado di tenere il passo con l’ampio numero di casi di Covid-19. Così è stato soprattutto a New Delhi, la capitale del Paese. Attualmente c’è una forte carenza di ossigeno e di letti d’ospedale per i pazienti. L’ossigeno è iniziato ad affluire da tutto il Paese verso la capitale. Sono arrivati aiuti internazionali da Singapore, Canada, Stati Uniti, Russia, Paesi dell’Unione europea tra cui l’Italia, nella forma di forniture di emergenza, in particolare di ossigeno e di ventilatori per le terapie intensive. Ulteriori aiuti sono giunti da Emirati Arabi Uniti, Taiwan, Bahrain. Sono meno buone, invece, le attuali relazioni con la Repubblica Popolare cinese, come dimostrato da ultimo da una polemica nata dopo un post sui social in cui alcuni esponenti del Partito Comunista di Pechino sembravano ironizzavano sulla situazione indiana, alludendo a una certa arretratezza del Paese rispetto al vicino cinese. Comunque adesso tocca all’India mobilitare in modo efficiente tutte le risorse aggiuntive giunte dall’estero affinché arrivino con rapidità alle persone che più ne hanno bisogno.

Nelle prossime settimane, l’India, se intende frenare la corsa dei contagi, dovrà ricorrere a drastiche forme di confinamento a casa come avvenuto in Italia nella primavera dello scorso anno, lo hanno suggerito svariati esperti come Anthony Fauci. Nel frattempo la produzione e la somministrazione di vaccini possono e devono essere incrementate per ridurre la pressione sugli ospedali. All’orizzonte non si intravvedono altri modi per “appiattire la curva” e risparmiare le vite dei cittadini indiani.

L'autore

Megha Patnaik è Assistent Professor al Dipartimento di Economia e Finanza, Luiss Guido Carli


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