L’Unione europea che guarda al futuro
12 maggio 2021
Il 9 maggio era il compleanno dell’Europa. Il 9 maggio del 1950, il ministro degli esteri francese Robert Schuman rese pubblica una Dichiarazione che proponeva alla Germania di porre la produzione del carbone e dell’acciaio (oggetto di continui conflitti tra i due Paesi) sotto una comune Alta Autorità. Quella Dichiarazione dette vita ad un’organizzazione sovranazionale (CECA) costituita di sei Paesi (tra cui il nostro). Da essa derivò il progetto integrativo del mercato comune, inaugurato a Roma nel 1957, che ha portato al progressivo rafforzamento delle istituzioni sovranazionali (Parlamento europeo in particolare). Con gli anni Novanta del secolo scorso, quel progetto si è poi allargato a politiche tradizionalmente vicine alle sovranità statali, conducendo al rafforzamento delle istituzioni intergovernative (Consiglio europeo in particolare). A 71 anni dalla Dichiarazione Schuman, l’Europa è un continente pacificato, con un mercato tra i più vitali al mondo e con democrazie solide (anche se non dappertutto). Hanno buone ragioni i parlamentari europei che oggi si riuniscono a Strasburgo per inaugurare la Conferenza sul futuro dell’Europa. Hanno cattive ragioni, invece, coloro che denigrano i risultati che l’Europa ha raggiunto.
Se è indubbio ciò che ha raggiunto l’Europa integrata, è altrettanto indubbio che quest’ultima manifesta debolezze e incongruenze, proprio per la difficoltà di conciliare interessi sovranazionali ed intergovernativi. Dopo tutto, l’Ue nasce da un atto di volontà, non già da un’evoluzione biologica. E’ un progetto artificiale perseguito (in negativo) per tenere sotto controllo la logica distruttiva dei nazionalismi e (in positivo) per favorire risposte a sfide che gli stati nazionali non sono in grado di affrontare da soli. Essendo un progetto artificiale, l’Unione europea (Ue) è necessariamente il risultato di compromessi. Di qui nasce la sua continua necessità a ripensare sé stessa. La Conferenza sul futuro sull’Europa è una tappa di tale percorso di ripensamento. Una tappa in salita, non solamente per la pandemia ma anche per la radicalizzazione della divisione, tra il Parlamento europeo (interesse sovranazionale) e il Consiglio (interessi intergovernativi), sul suo ruolo e sugli obiettivi che può raggiungere. Per alcuni governi nazionali, la Conferenza dovrebbe limitarsi ad essere un forum di riflessione attraverso cui raccogliere gli stati d’animo dei cittadini europei. Per alcuni parlamentari europei, invece, la Conferenza dovrebbe essere un veicolo per giungere alla revisione degli stessi Trattati europei. Entrambi celebrano la partecipazione diretta dei cittadini, non considerando che quando si mette a bollire qualcosa sul fuoco, non sempre è facile distinguere gli odori gradevoli da quelli sgradevoli che ne emergono. Per la prima visione, l’Ue è (o dovrebbe essere) la somma degli interessi nazionali. Per la seconda visione, l’Ue è (o dovrebbe essere) il superamento degli interessi nazionali. Di qui lo stallo che rallenta periodicamente l’azione dell’Ue.
Ognuna delle due visioni vede solamente una parte dell’elefante europeo. L’Ue non potrà essere solamente un’organizzazione intergovernativa (come vuole la prima visione), né potrà essere solamente un’organizzazione sovranazionale (come vuole la seconda visione). Il Consiglio europeo non può imporsi sulle altre istituzioni, né il Parlamento europeo può pensare di essere l’unica istituzione legittima. La sovranità (il potere dell’ultima parola) dovrà essere distribuita tra le capitali nazionali e Bruxelles. Tale distribuzione andrà certamente negoziata, anche sulla base degli eventi storici. Ad esempio, la pandemia ha mostrato come sia necessario assegnare a Bruxelles la sovranità per affrontare le emergenze sanitarie, senza privare gli stati della loro sovranità per la gestione ordinaria della politica sanitaria. Comunque la si chiami (composita o federale), l’Ue potrà consolidarsi solamente se saprà conciliare la sovranità degli stati (su alcune materie) con la sovranità europea (su altre materie). Ha sostenuto il premier Mario Draghi al Senato il 17 febbraio scorso: “Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa”. È questo anche lo spirito dell’Appello di Union of European Federalists e Spinelli Group, firmato da centinaia di personalità europee. La Conferenza può essere un’occasione per individuare un’agenda di riforme sia delle politiche che delle istituzioni europee. Occorre creare, a Bruxelles, una sovranità in campi strategici dell’azione collettiva (come la fiscalità, la difesa e sicurezza, la protezione delle frontiere, il contrasto alla criminalità anche cibernetica, la ricerca avanzata). Una sovranità limitata, distinta da quella nazionale (che dovrà piuttosto rafforzarsi in altri campi), organizzata all’interno di un sistema che bilanci e controlli gli interessi nazionali e quelli sovranazionali.
Insomma, ci sono buone ragioni per celebrare il compleanno dell’Europa. L’Ue non è il paradiso (sognato da alcuni), ma neppure l’inferno (denunciato da altri). E’ un progetto artificiale che deve tenere in equilibrio interessi nazionali e sovranazionali. Mario Draghi, oggi come premier di un governo nazionale e ieri come presidente della Banca centrale sovranazionale, è nella condizione di conoscere la specificità di entrambi quegli interessi. Perché l’Italia non presenta un suo Piano di basilari riforme sia delle politiche che delle istituzioni europee? Dopo tutto, fu in Italia che, proprio ottant’anni fa, venne scritto il Manifesto di Ventotene.
Questo articolo è precedentemente apparso su Il Sole 24 Ore. Riprodotto per gentile concessione.
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