14 maggio 2021

Quando la scienza sovrasta la politica

Sembra sia tornata l’epoca dello scientismo dove il sapere scientifico si pone alla base di tutta la conoscenza, anche in etica e politica. È perciò urgente ripensare la scienza a partire dal riconoscere l’ineliminabile circolarità tra questa e la società. Ci troviamo di fronte all’urgenza di un nuovo umanesimo scientifico?

FacebookFacebook MessengerTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Sociologia della scienza e della tecnologia. Un’introduzione. Giampietro Gobo,Valentina Marcheselli, Carocci Editore, Roma 2021

 

Il coronavirus ha fermato tutti, tranne gli scienziati, la cui importanza non ha pari. Sembra che si stia realizzando il sogno di Auguste Comte, il fondatore della sociologia, il quale aveva annunciato che la scienza avrebbe reso superflua la politica. Se le leggi scientifiche sono certe e infallibili, scriveva Comte, la politica non deve fare altro che applicarle senza discussione e affidare il governo agli scienziati. Su questa tematica attualissima, Giampietro Gobo e Valentina Marcheselli hanno scritto un libro profondo perché frutto di decenni di ricerca ovvero “Sociologia della scienza e della tecnologia”, appena pubblicato nella collana di studi superiori dell’editore Carocci (28 euro). Gobo, tra i sociologi italiani più noti all’estero, e la giovane ricercatrice Marcheselli, aprono il volume riassumendo le critiche più autorevoli rivolte allo “scientismo”, com’è chiamato l’atteggiamento di fiducia incondizionata nella scienza: è una sintesi, in apertura del volume, che accresce il bagaglio culturale di chi legge.  Il problema, spiegano gli autori, è che la scienza, quando governa la politica, raramente pone fine ai dispareri. È scientificamente comprovato che non sia possibile fermare il virus senza i vaccini. Ma chi dev’essere vaccinato per primo? In quali regioni e a che ora bisogna chiudere i ristoranti? Qual è il giusto bilanciamento tra il sostegno all’economia e l’emergenza sanitaria? Non esistono leggi scientifiche per rispondere a queste domande, che affliggono il governo Draghi. Nel terzo capitolo dell’opera, gli autori si chiedono che cosa significhi essere esperti. Nell’opinione dominante, l’esperto è colui che ha accumulato un grande sapere. Però l’esperto, espulso dalla sua categoria professionale, smette di essere affidabile. Contano le conoscenze o l’appartenenza alla comunità scientifica? In una società in cui sentiamo spesso dire che il titolo di studio universitario conta molto poco, il coronavirus ci fa scoprire che è quasi tutto che sorregge la nostra credibilità. E così, dubitando e demolendo con il loro approccio costruttivista, gli autori, senza dirlo, tratteggiano un modello ideale di società, in cui gli individui hanno un atteggiamento critico e consapevole verso il mondo circostante.

Non meno interessante è ciò che il libro insegna sulla comunicazione da parte della scienza, cioè sul modo in cui gli scienziati si rivolgono al pubblico per convincere i cittadini a essere obbedienti. La scienza ricorre a varie strategie comunicative studiate a tavolino. La prima strategia è detta “modello della scarsità di informazioni” (Information Deficit Model) e si basa sull’idea che l’innovazione scientifica (vale anche per i vaccini) venga rifiutata perché i cittadini hanno poche informazioni per apprezzare i suoi benefici. Questo modello, che è anche il più diffuso, è di tipo paternalista-pedagogico e si propone di utilizzare la comunicazione per educare le persone. È il modello che sta operando in Europa durante questa campagna vaccinale. È però andato in crisi, proseguono gli autori, dopo il disastro di Chernobyl, quando gli scienziati inglesi avevano rassicurato gli allevatori della Cumbria, una contea del Nord-Ovest dell’Inghilterra, che la contaminazione dei loro prodotti non sarebbe stata così grave. Sbagliarono e dovettero rivedere le loro valutazioni, dopo avere accusato gli allevatori di essere irrazionali per le loro paure dovute a mancanza di informazioni adeguate (p. 193). Lo scopo di Gobo, professore all’Università statale di Milano, e Marcheselli, ricercatrice all’Università di Trento, è di riaffermare una visione umanistica dell’impresa scientifica e un approccio alle scienze noto come “umanesimo scientifico” (p. 17). Con l’augurio di non fraintendere gli autori, il loro libro sembra dire: “Fidiamoci della scienza, ma con moderazione e spirito critico”.

Questo articolo è precedentemente apparso su Il Messaggero. Riprodotto per gentile concessione.

Tag scienza