Perché ha senso Meloni Premier

21 maggio 2021
Editoriale Open Society
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È realistica, Giorgia Meloni, quando immagina d’installarsi a Palazzo Chigi in un prossimo futuro? La risposta breve è sì. Non so se sia probabile che la coalizione di destra vinca le prossime elezioni e che Fratelli d’Italia ne diventi la forza maggiore, ma di certo è possibile. Il sondaggio SWG di ieri che dà FdI secondo partito a un punto e mezzo dalla Lega conferma questa possibilità. La risposta lunga richiede un ragionamento un po’ più articolato, incentrato da un lato sulla forza elettorale della destra, dall’altro sulla collaborazione conflittuale fra Meloni e Matteo Salvini.

La destra italiana è stata «scongelata» quasi trent’anni fa, durante Tangentopoli. In un primissimo tempo, nelle elezioni amministrative del 1993, da Mani Pulite trassero beneficio due forze politiche molto differenti. La Lega Nord era un partito giovane, figlio della crisi del politico che aveva preso avvio negli anni Settanta. Il Movimento sociale italiano era invece un partito primo novecentesco: nato subito dopo la seconda guerra mondiale, le sue radici risalivano tuttavia al dopoguerra precedente. In quel momento le due forze non potevano essere sommate l’una all’altra: troppo diverse per storia, troppo poco compatibili per radici sociali e soprattutto geografiche. Doveva emergere l’«anomalia» Berlusconi perché, col tempo e non senza difficoltà, entrassero infine in una vera e propria coalizione. Che avrebbe raccolto quasi la metà dei voti alle elezioni del 2001, 2006 e 2008.

Dopo una flessione durata vari anni, alle ultime elezioni europee, nel 2019, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sommate insieme sono tornate esattamente al cinquanta per cento. Una notevole dimostrazione di persistenza: da un lato del blocco elettorale di destra, dall’altro delle tradizioni politiche che sembravano destinate a dividerselo nel 1993, e che si affermano oggi col lento appassire del berlusconismo. Una dimostrazione tale da suscitare il dubbio che quanto negli ultimi anni abbiamo chiamato sovranismo altro non sia che un fenomeno tutto sommato superficiale: la forma contingente di una ben più profonda destra «storica».

La stagione sovranista un’eredità tuttavia l’ha lasciata: per quanto in maniera incompleta, la Lega di Salvini ha mutato pelle rispetto a quella di Bossi. E così facendo ha accorciato di molto la distanza  politica da Fratelli d’Italia: i due partiti hanno una conformazione ideologica, se non identica, per lo meno simile. Il travaso di voti segnalato dai sondaggi dimostra che una parte rilevante del loro elettorato li considera in effetti intercambiabili. Faticano a competere sui contenuti, così, e devono cercare di differenziarsi piuttosto sul rapporto con la società da un lato, sulle forme dell’azione politica dall’altro.

Semplificando, mi pare che sul terreno del rapporto con la società abbia delle carte da giocare soprattutto la Lega: il radicamento nell’Italia settentrionale, la lunga tradizione di amministrazione locale, la vicinanza ai ceti produttivi. Quelle caratteristiche, insomma, che hanno indotto Salvini a sostenere il governo Draghi. E che potrebbero spingere il partito in una direzione di liberalismo economico, in senso lato, che gli consenta anche di approfittare del declino di Forza Italia.

Sulle forme dell’azione politica, e in particolare sul modello di leadership, ha invece delle carte da giocarsi Meloni. Meno «novecentesca» di Fratelli d’Italia, la Lega ha saputo produrre una leadership aggressiva, pop, urticante e opportunista come quella di Salvini. È stata la sua fortuna negli anni centrali della stagione cosiddetta populista, fra il 2014 e il 2019. Ma è un modello di leadership dispendioso e facile a stancare. Soprattutto, appare poco adatto all’era della pandemia. Nella quale sembra funzionare meglio lo stile assai diverso, più rassicurante, di Meloni. Anche a giudicare dall’andamento dei sondaggi, che segnalano il calo della Lega e la crescita di Fratelli d’Italia già dalla seconda metà del 2019, questo fattore sembra contare molto più delle scelte opposte fatte davanti al governo Draghi.

La partita resta aperta. Non si dimentichi comunque che Salvini è solo il secondo degli ostacoli che si frappongono fra Meloni e Palazzo Chigi. Prima la coalizione di destra dovrà guadagnarsi una maggioranza in parlamento. E per farlo dovrà evitare che la concorrenza fra i due faccia troppi danni. Non un risultato così scontato, nei mesi a venire.

Questo articolo è precedentemente apparso su la Stampa. Riprodotto per gentile concessione.

Tag politica

L'autore

Giovanni Orsina è il Direttore della Luiss School of Government


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