La svolta al centro di Salvini
9 giugno 2021
È ancora difficile, oggi, sapere per certo se la «convergenza» fra la Lega e Forza Italia accadrà davvero e, se lo farà, che forma prenderà esattamente. Un accordo di cooperazione politica non è una federazione, una federazione non è un partito unico: i dettagli restano fondamentali. È possibile tuttavia cominciare per lo meno a ragionare sia sui vantaggi che un’operazione del genere porterebbe a chi la compie, sia sulle sue controindicazioni.
Partiamo da Silvio Berlusconi, i cui interessi in questo caso potrebbero non coincidere del tutto con quelli del suo partito. Berlusconi si è sempre pensato come il federatore – anzi: il fondatore – del centro destra, e ne ha sempre sostenuto l’unità. Certo, quell’unità doveva essere funzionale alla sua leadership. Però, come dimostrano negli anni le infinite discussioni su chi potesse succedergli e la lunga teoria di delfini sventurati, il problema dell’eredità non ha mancato di porselo. Può darsi abbia deciso che il delfino glielo ha infine selezionato la storia, e che a questo punto vale la pena accettare il ruolo del padre nobile. Che per altro, nel suo caso, è difficile sia meramente simbolico. In quest’operazione c’è qualcosa anche per il suo partito, a ogni modo: la possibilità di sopravvivere, in una forma o nell’altra, a prescindere dalla forza politica del fondatore.
Matteo Salvini potrebbe guadagnare innanzitutto un gruzzolo non irrilevante di voti. Sufficienti, magari, a tenere Giorgia Meloni a distanza di sicurezza. Ancora di più, però, guadagnerebbe legittimazione, percorrendo la seconda tappa nel giro di tre mesi, dopo la decisione di sostenere Draghi, fuori dal recinto populista e verso il centro di governo. Di legittimazione, poi, ne guadagnerebbe ancora di più (ma qui il condizionale è più che mai necessario) se la mossa italiana dovesse eventualmente implicarne pure una continentale, ovvero se l’accordo con Forza Italia preludesse a un avvicinamento al Partito popolare europeo. Infine, in accoppiata con Forza Italia la Lega potrebbe a maggior ragione proporsi come il partito dell’Italia imprenditoriale e produttiva.
Muovendosi insieme, Salvini e Berlusconi acquisterebbero non poco peso politico. La maggioranza di governo ne verrebbe sbilanciata verso destra, e così, giocoforza, anche Mario Draghi. Tanto più se Conte dovesse portare una parte del Movimento 5 stelle all’opposizione, una possibilità della quale pure si vocifera. Il Partito democratico si troverebbe in difficoltà più di quanto già non sia. Meloni perderebbe almeno per un po’ l’iniziativa politica e l’attenzione mediatica, e potrebbe veder sfumare il sogno, fattosi da ultimo molto concreto, che Fratelli d’Italia diventi il primo partito della coalizione di destra e d’Italia. E tutto questo, per giunta, mentre all’orizzonte prende sempre più forma il Grande Gioco per il Quirinale.
Tutto bene, allora? No, naturalmente. Una mossa del genere è destinata a generare contromosse. Nel Palazzo, innanzitutto: che cosa faranno i parlamentari di Forza Italia che hanno scarsa voglia di morir salviniani, ad esempio? Quanto filo hanno da tessere, magari in asse con i vari altri soggetti politici di orientamento più o meno centrista? Ma nel Paese ancor di più: le contromosse dell’elettorato saranno particolarmente interessanti da osservare. Sia dell’elettorato di Forza Italia, sia, e soprattutto, di quello della Lega. Perché gli elettori più arrabbiati di Salvini hanno un’alternativa, se vogliono rimanere arrabbiati: Meloni, ovviamente. Resta sempre tutto ipotetico, s’intende, ma non sarebbe un gran guadagno per il leader leghista se, per allargarsi al centro, dovesse finire per regalar suffragi alla sua inseguitrice.
Questo articolo è precedentemente apparso su La Stampa. Riprodotto per gentile concessione.
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