Le imprese italiane all’estero da difendere

11 giugno 2021
Editoriale Open Society
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Una delle qualità migliori della Repubblica Italiana è lo scrupolo con cui segue i propri cittadini vittime di tragiche circostanze all’estero. Nel ministero degli Esteri, esiste una macchina ben collaudata, che si mette in moto per tirare fuori dai guai gli italiani più sventurati. La diplomazia italiana ne fa una questione di orgoglio identitario: siccome non conta nei teatri di guerra, è come se volesse riscattarsi raggiungendo l’eccellenza in questioni di pace e mediazioni. Al cittadino comune è impossibile incontrare gli uomini che siedono ai vertici della Repubblica, ma gli diventa facilissimo se finisce in un carcere infernale di Khartoum, capitale del Sudan. È il caso di Marco Zennaro, un imprenditore di Venezia, che ha visto mobilitarsi i Luigi più importanti d’Italia: Luigi Di Maio, ministro degli Esteri; Luigi Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero, che, da Roma, si è recato in un carcere a Khartoum; Gianluigi Vassallo, ambasciatore italiano in Sudan. I tre, e la vice ministra Marina Sereni, hanno chiesto alle autorità sudanesi di lasciare che Zennaro rientri in Italia oppure di lasciarlo agli arresti in albergo, visto che nessuno ha capito perché sia stato arrestato. Quanto ai fatti, Zennaro, 46 anni, è titolare della Zennarotrafo, che fa affari con il Medio Oriente e l’Africa da più di 25 anni. Zennaro ha venduto materiali elettrici alla ditta al-Gallabi di Khartoum, che li ha contestati come “non conformi”. Zennaro è accusato di essere un truffatore. Eppure, tutti i suoi comportamenti indicano il contrario. In primo luogo, Zennaro è un imprenditore che ha vinto un bando di concorso per una fornitura in Sudan di oltre un milione di euro. E poi nessuno ha mai visto un truffatore, con tre figli a carico, prendere un aereo da Venezia, che a momenti è la città più bella del mondo, per correre dal truffato a Khartoum e ascoltare le sue ragioni. Zennaro ha anche restituito 400 mila euro alla controparte per chiudere la disputa, in cui, probabilmente, è pure parte lesa. L’Italia vive di esportazioni. Se non difende i propri imprenditori, è nei guai. Zennaro deve trattare una disputa commerciale, da cui può dipendere la vita di un’impresa italiana, in condizioni detentive. Anziché pagare un risarcimento, rischia di pagare un riscatto. Il problema non è soltanto tirarlo fuori, ma fare in modo che altri imprenditori italiani non facciano la sua fine. In una parola: il caso Zennaro è utile per capire il ruolo dell’Italia nell’arena internazionale.

Non entriamo in dettagli e, soprattutto, non vogliamo scrivere niente contro il Sudan con le trattative in corso. Però possiamo sollevare due problemi. Il primo è che i Luigi più importanti d’Italia, a cui va il nostro sostegno, almeno finora, hanno ottenuto risultati vicino alla zero e mettiamoci pure che sono più di due mesi che Zennaro è in questa condizione. Il secondo problema è che i casi iniziano a essere troppi. Gli italiani sono ben protetti in Africa? Non vogliamo pronunciare giudizi, che richiederebbero uno studio comparato, ma la nostra impressione è che i casi Regeni, Zennaro, Attanasio, non siano così numerosi in Francia, Inghilterra e Germania. I francesi cadono in Africa, questo è vero, ma con un ruolo combattente, e non scrivendo tesi di dottorato o vendendo trasformatori elettrici. Non si tratta di fare commenti qualunquisti, del tipo: “L’Italia non conta più niente”. Si tratta di pensare strategicamente. Abbiamo affrontato questo tema nel libro “Viva gli immigrati. Gestire la politica migratoria per tornare protagonisti in Europa” (Rizzoli), in cui abbiamo proposto di accogliere grandi comunità di immigrati provenienti dai Paesi africani con cui l’Italia ha un interesse ad avere legami stretti. L’Italia vuole svilupparsi in Sudan? Bene, accolga molti sudanesi. L’Italia dovrebbe utilizzare l’immigrazione come un’arma strategica per penetrare nell’economia altrui e poi utilizzare la comunicazione politica per costruire un’immagine positiva delle comunità che ospita giacché non è una buona idea accogliere e trattar male. Un Paese che non possa usare la forza deve usare la testa. La nostra ricetta (per chi pensi strategicamente) non è necessariamente in contrasto con lo slogan “Prima gli italiani”. A proposito: questo slogan vale solo per gli italiani in Italia o anche per quelli all’estero?

Questo articolo è precedentemente apparso sul Messaggero. Riprodotto per gentile concessione.

L'autore

Alessandro Orsini è professore associato di Sociologia del terrorismo e Direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale della LUISS. È anche Research Affiliate al Center for International Studies del MIT di Boston e membro della Commissione per lo studio della radicalizzazione istituita dal Presidente del Consiglio


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