Sviluppo sostenibile e transizione ecologica: il ruolo dell’Accademia

15 giugno 2021
Editoriale Open Society
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Il decennio 2020-2030 è cruciale per il rapporto fra uomo e natura. Per tale ragione, le decisioni da assumere e mettere in pratica sono, al tempo stesso, semplici e molto complesse. Le scelte possono essere di continuità rispetto al passato così da persistere in una insensata “guerra alla natura”, dando luogo, in tempi assai più brevi di quanto si immagini e senza che la maggior parte della popolazione se ne renda conto (o voglia rendersene conto), a effetti catastrofici e irreversibili per l’ambiente e quindi per l’uomo. Una parte dell’umanità assisterà infatti a questi cambiamenti senza doverne sopportare, nel breve periodo, le conseguenze negative per le proprie esigenze quotidiane, a causa dell’età, del benessere economico, della collocazione geografica etc. Ma, prima o poi, la catastrofe ambientale riguarderà l’intera popolazione mondiale e soprattutto colpirà con certezza le generazioni future, che non potranno sottrarsi ai disastri causati dalle generazioni passate e attuali, creando situazioni di disparità e di iniquità intergenerazionale, come ben messo in luce in una recente decisione della Corte costituzionale tedesca nel caso Neubauer e altri c. Germania (sent. 26 aprile 2021), nella quale si è pertanto accertata l’incompatibilità della legislazione federale approvata a fine 2019 in tema di protezione climatica rispetto alla Costituzione tedesca, dichiarando insufficienti e poco chiare le misure nazionali relative alla riduzione delle emissioni nocive stabilite per il periodo successivo al 2030.

Esiste tuttavia una seconda possibilità di “rottura” e discontinuità netta e sostanziale rispetto al passato. È infatti ancora possibile generare rapide e significative trasformazioni politiche ed economiche capaci di invertire la rotta e instaurare un rapporto sano ed equilibrato con l’ambiente. Queste trasformazioni spettano certamente ai governi nazionali e alle istituzioni internazionali, ma passano anche dalle decisioni e dai comportamenti dei singoli individui nonché di enti pubblici e privati. Da questo punto di vista, le università e i centri di ricerca devono fare la loro parte. Del resto abbiamo già visto i risultati straordinari ottenuti in diversi Paesi per fronteggiare la pandemia da Covid-19, realizzati anche attraverso una virtuosa ed efficace collaborazione fra governo ed enti di ricerca privati. Questo modus operandi può e deve essere utilizzato anche nell’ambito della protezione del “nostro” ambiente naturale.

Una parte dei governi nazionali si è resa conto della centralità della questione ambientale per lo sviluppo economico e sociale dello Stato, senza limitarsi a una generica protezione dell’ambiente, bensì garantendo un’effettiva transizione ecologica, anche con l’istituzione di enti o ministeri ad hoc, come in Francia e in Italia. Non deve però trattarsi di modifiche formali prive di effetti pratici, ma occorre ripensare e ridefinire il modo in cui le società nazionali sono organizzate sotto il profilo economico e sociale. Ciò è reso necessario anche dal fatto che la necessaria transizione ecologica implicherà uno spostamento progressivo degli interessi finanziari, con l’effetto che molte attività economiche oggi esistenti e ancora piuttosto redditizie non esisteranno più o andranno a estinguersi col tempo. Un esempio lampante è la crescente tendenza degli investitori internazionali ad abbandonare i combustibili fossili, in particolare il carbone. Sarebbe eccessivo pretende che questa scelta sia motivata da nobili ragioni ambientali. Gli investitori più lungimiranti si sono già resi conto della radicale e ineluttabile trasformazione in atto e riorientano quindi le loro risorse verso obiettivi diversi e in prospettiva più remunerativi. Negli ultimi anni sono avvenuti cambiamenti formidabili nei settori dell’energia, dell’alimentazione, dei trasporti e delle comunicazioni. Occorre incentivare questa tendenza allo scopo di far finalmente convergere l’interesse economico con l’interesse ambientale. Ciò non è avvenuto in passato, con riguardo all’uso dei combustibili fossili, unicamente incentrato sul profitto, e deve invece essere fatto attraverso la transizione ecologica.

A livello politico, i summit dei G7, del G20 e della COP26, nei quali Italia e Regno Unito svolgono un ruolo centrale, offrono un’opportunità unica che deve essere colta. Nel recente passato non mancano esempi di politiche nazionali che hanno inciso rapidamente e in modo positivo verso una conversione economica più compatibile con l’ambiente. Si pensi al notevole rafforzamento del ricorso all’energia eolica offshore nel Regno Unito (con la riduzione dei costi a meno di un terzo rispetto ai livelli del 2010), alla massiccia diffusione di veicoli elettrici in Cina (da cifre trascurabili nel 2010 a oltre 1,3 milioni di veicoli nel 2020), all’impennata nell’uso di lampadine a LED in India (con vendite annuali moltiplicate di più di 130 volte a partire dal 2014).

Rispetto a questi ambiziosi obiettivi, il coordinamento internazionale, che si traduce in atti di solidarietà internazionale fra i Paesi, con la determinazione di politiche concertate fra i Paesi più ricchi che si rafforzano e integrano tra loro e la previsione di misure di sostegno a favore dei Paesi meno sviluppati sotto il profilo economico e delle tecnologie, è indispensabile. In proposito, i forum internazionali, come il G7 e il G20, che stanno riacquisendo una maggiore vitalità e autorevolezza, che talora è mancata in passato, possono tracciare la strada verso una politica di trasformazione economica ed ecologica.

In questa prospettiva, gli istituti universitari e di ricerca (interuniversitari e transnazionali) devono contribuire, in questo decennio di svolta, a guidare e agevolare la transizione ecologica, con un’opera non soltanto di studio, ma di promozione e attuazione di specifiche politiche ecocompatibili. Per raccogliere questa sfida gli istituti in questione devono possedere competenze forti e trasversali, sotto il profilo economico, giuridico e sociale, che garantiscano un dialogo diretto e costante fra più livelli del settore pubblico e privato. Da questo punto di vista, il nostro Paese può e deve fare la sua parte.

L'autore

Pietro Pustorino è Professore ordinario di Diritto internazionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli.


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