Il totalitarismo digitale: lo spettro di una nuova forma di potere
18 giugno 2021
L’utilizzo delle intelligenze artificiali può essere una minaccia per la tenuta democratica delle nazioni contemporanee? Siamo in grado di sapere esattamente dove vanno a finire tutti i dati raccolti “da terzi” durante la navigazione in Internet? Siamo davvero in incognito quando scegliamo questa modalità di ricerca, per esempio, su Google? La rete consente una forma pur blanda di anonimato dell’utente?
Sappiamo che l’intento dei regimi totalitari del Novecento era quello di creare un’umanità nuova. Espresso in formule diverse, anche diametralmente opposte e conflittuali, questo era l’obiettivo del regime nazista come quello della dittatura comunista in Unione Sovietica.
Riscrivere il modello di governo e di società, riprogrammare il cittadino affinché si inserisca perfettamente nell’ingranaggio più grande dello Stato che lo fa nascere, lo cresce e poi lo rimpiazza con altri individui simili, molto simili a lui per desideri, diritti e doveri.
Con la loro capacità di gestire, suggerire e deviare la scelta degli utenti, gli attuali dispositivi digitali sembrano a volte, ad alcuni, procedere nella stessa maniera. Creare una massa critica di cittadini dediti al consumo online e alla navigazione compulsiva. Accumulare talmente tanti dati sull’umanità da averne un archivio esauriente. Dopodiché, utilizzare questi dati per creare una popolazione nuova, una nuova umanità del tutto dedita al sistema tecnologico.
Forse ciò avverrebbe se le macchine intelligenti fossero lasciate a loro stesse, e potessero scegliere, in termini di economia e di efficienza dell’intero sistema civile, quali tipologie di utenti siano preferibili, quali tipologie di bambino (a livello genetico) siano da mettere al mondo, fino a quando l’organismo di una persona anziana può dirsi compatibile con i bisogni della collettività, quali comportamenti punire a priori e quali libertà concedere. Un sistema che si fonderebbe sulla pura misurazione, sulla pura efficienza, sul puro calcolo fine a sé stesso, e che tenderebbe a un equilibrio eterno, stabile e duraturo, quanto monotono e disumano.
Non state leggendo una sceneggiatura di un film: questa è realtà possibile. Un tale sistema sarebbe destinato a fermarsi di colpo, e a rimpiazzare l’evoluzione con la stazionarietà, e allora sì che la Storia finirebbe davvero, come alcuni avevano previsto accadesse dopo il crollo delle ideologie novecentesche. In realtà, anche in questo caso, non sono tanto le macchine che devono far paura, ma gli uomini che le governano, o che tentano di governarle per scopi tutt’altro che umanitari, civili e progressisti.
Da un altro lato, vediamo come regimi autoritari, e anche democratici, si affannino a stringere la loro morsa contro i colossi del web, ovvero contro quelle aziende che gestiscono la maggior parte dei flussi dei dati online, e di limitarne così drasticamente il raggio d’azione. Come a dire: se non riesco ad essere più forte di te, ti caccio dal mio Paese, ti metto al bando.
Su quest’onda che scatena reazioni e contromosse, proteste, indignazioni, e che crea opinioni, anche estreme, a favore di quella o di quell’altra parte, si crea il terreno più fertile per la disinformazione, e nascono allora sospetti di trame occulte, come quella che vorrebbe il Covid-19 un prodotto artificiale della Cina, introdotto nel mondo per instaurare, attraverso misure stile lock-down, ma sempre più restrittive e penalizzanti, un regime globale di autoritarismo assoluto.
Ma ogni crisi, si sa, oltre a essere occasione di rilancio, è anche un momento di passaggio molto delicato, nel quale si scoprono le debolezze delle società, dei rapporti interpersonali e internazionali, l’insufficienza delle infrastrutture, i vuoti di potere, la mancanza di strumenti adeguatamente efficienti per risolvere i problemi in seno al sistema democratico. È una vecchia storia, che conosciamo – o dovremmo conoscere – abbastanza bene e che, proprio per questo, facendo tesoro del passato recente, non dovremmo più temere.
La datificazione della società, infatti, rappresenta anche un’arma a doppio taglio per chi ne abusa. Se alcune grandi organizzazioni riescono a detenere grandissime quantità di dati e ad acquisirne nel tempo – talvolta illegalmente, o attraverso strumenti al limite della legalità – quantità altrettanto elevate, basta una singola falla nel sistema, un errore, o una persona in grado di violare gli sbarramenti di accesso ai server perché questi dati “segreti” e preziosi, in un tempo velocissimo, vengano diffusi su scala globale e messi a disposizione di qualsiasi altra persona che disponga di un qualsiasi tipo di dispositivo connesso.
Così, i grandi serbatoi di dati possono essere certamente il bagaglio nascosto, l’arma principale di ricatto e di controllo attraverso cui alcuni governanti, o capi di multinazionali, potrebbero cercare di controllare il mondo. Ma potrebbero anche, se passati in altre mani, diventare la prova di scandali, compromissioni, e accendere rivolte e rivoluzioni sociali. Si pensi ai casi di Edward Snowden e di Wikileaks. Nel 2019, la diciassettenne Feroza Aziz ha caricato un video su Tik Tok, un “semplice” tutorial di make-up, su come curarsi le ciglia. Soltanto che, dopo pochi minuti, la ragazza ha cominciato candidamente a denunciare le violenze che una minoranza di religione islamica, gli Uiguri, subisce nella Repubblica Popolare Cinese. Le visualizzazioni superano il milione in poco tempo e il governo cinese blocca subito l’account della ragazza.
Tik Tok, come abbiamo visto, subisce la censura dei due grandi competitor internazionali, Stati Uniti e Cina. Gli utenti del web, mentre i governi si affannano ad arginare quei contenuti che riconoscono come scomodi per il loro potere, o utilizzano politiche di blocchi e dazi per azzoppare la concorrenza, trovano comunque e sempre il modo di bypassare le nuove frontiere digitali, i nuovi muri di Berlino che non si smette di erigere, un po’ in tutto il mondo, fisicamente e virtualmente, e di lanciare – seppur per un tempo limitato, fino a quando la censura non si abbatte sulla voce critica – il loro messaggio di rivendicazione sociale, protesta o testimonianza.
Un tempo, per esempio durante la Seconda guerra mondiale, durante il regime fascista, si faceva con la radio. Ci si sintonizzava clandestinamente, magari attraverso apparecchi autocostruiti, su stazioni radio estere, americane. E si ballava dentro casa, con le finestre chiuse, strappando – grazie alla voglia di vivere, e alle opportunità concesse da un tipo di tecnologia – un lembo di libertà all’oppressione totalitaria.
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