Come vengono gestiti gli appalti dalle regioni e come potranno essere gestiti in futuro

23 giugno 2021
Editoriale Open Society
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Le Regioni sono tra le Amministrazioni che saranno chiamate a realizzare i progetti del PNRR, e, quindi, a gestire i relativi appalti e a spendere i fondi del Next Generation EU.

Come è evidente, si tratta di capacità amministrative che non si improvvisano, neppure in un’Amministrazione regionale, e per questo Fondazione Etica ha effettuato una verifica di quelle capacità misurabili ad oggi[1], come in una sorta di due diligence delle PA. In particolare, ha analizzato[2] come le Regioni gestiscono gli appalti e pagano i fornitori, sulla base dei dati che esse stesse pubblicano nella sezione Amministrazione Trasparente sui rispettivi siti web, secondo quanto diposto dal D.Lgs. 33/2013.

I risultati sono molto interessanti e, a tratti, sorprendenti. Possono costituire una mappatura utile per  il Governo al fine, ad esempio, di predisporre sia supporti tecnici anti-spreco sia accorgimenti anti-corruzione in materia di appalti.

L’analisi si è avvalsa della metodologia del Rating Pubblico, oggi applicabile anche ad altri Paesi europei, secondo lo studio condotto da Fondazione Etica per la Commissione Europea.

Gestione degli Appalti e rapporto con i fornitori nelle Regioni

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L’area Appalti è quella su cui può essere meglio valutata la capacità anticorruzione di un’Amministrazione e, conseguentemente, il suo potenziale di sviluppo economico sostenibile e di promozione della competitività delle aziende sul territorio. La corruzione, infatti, non solo è sbagliata eticamente, ma è anche un costo economico che nessun Paese può sostenere. Appalti truccati significano sperpero di denaro pubblico, concorrenza sleale a danno delle imprese sane e corrette, rischi di sicurezza per le opere realizzate, etc..

Con la cosiddetta legge anticorruzione – la n. 190 del 2012 – il legislatore ha indicato la trasparenza come il principale strumento di prevenzione della corruzione e, in effetti, molto di quello che le Amministrazioni pubblicano oggi in materia di appalti lo si deve a quella legge, oltre che al citato decreto n. 33 dell’anno successivo.

La Regione benchmark qui è il Lazio, con rating di area pari a 86 su 100, grazie allo score massimo che ha ottenuto in cinque indicatori su sei. A seguire, sempre in classe di rating Very Good, sono il Veneto (82) e le Marche (80), a fronte di uno score medio delle Regioni pari a 58.

Il dato che sorprende è soprattutto quello della Calabria: con score 71 si colloca in classe Good, al quinto posto del ranking. Ciò si può spiegare con gli score elevati che quella Regione ha ottenuto in tre indicatori su sei: in dettaglio, nella percentuale di affidamenti diretti sul totale degli appalti; nella percentuale di affidamenti diretti di importo compreso tra 38.000 e 40.000 euro; nella percentuale di imprese aggiudicatarie ricorrenti. Tutti valore bassi e, quindi, score alti, almeno in base alle informazioni che la Regione ha pubblicato e inviato all’Autorità Anticorruzione.

Sul lato opposto del ranking, invece, risalta lo score in classe Weak di tre Regioni performanti del Nord: Piemonte e P.A. di Bolzano, entrambe con score 42, e Lombardia, che, però, con score 49 arriva quasi alla classe Satisfactory. Il risultato lombardo si spiega principalmente con la pubblicazione parziale delle informazioni sugli appalti nel formato aperto xml previsto per la trasmissione ad ANAC, in  base alla legge 190/12 articolo 1 comma 32: la Lombardia lo ha pubblicato con contenuti fortemente ridotti, pertanto non comparabili con quelli delle Regioni che trasmettono file xml completi.

1.1 Affidamenti diretti e gare di appalto

Per il cittadino non è affatto semplice orientarsi nella moltitudine di tipologie di appalti che le PA possono attivare per ottenere forniture, lavori e prestazioni da imprese e professionisti. Tuttavia, un buon numero di cittadini riesce ragionevolmente a distinguere tra affidamento diretto e gara di appalto attribuendo al primo una maggiore discrezionalità esercitabile dalla PA nella scelta del fornitore rispetto alla seconda. Proprio quella maggiore discrezionalità rende l’affidamento diretto potenzialmente più esposto a rischi di corruzione.

Questo non vuol dire, naturalmente, che le Regioni che ricorrono maggiormente agli affidamenti diretti siano più corrotte delle altre, ma che un ricorso eccessivo ad essi da parte di una Regione rispetto alle altre può costituire un alert di cui tenere conto e da monitorare nel tempo.

La Regione con la minore percentuale di affidamenti diretti sul totale degli appalti – e quindi con score alto – risulta essere la Basilicata, con il 17,1%. Seguono la Calabria (23,2%) e il Lazio (27,5%).

La Regione con la maggiore percentuale di affidamenti diretti – e quindi con score basso – è il Veneto, con l’88,1%. Seguono Valle d’Aosta (85% ) ed Emilia Romagna (83,7%).

Sembra, dunque, che il ricorso agli affidamenti diretti sia più frequente nelle Regioni performanti come Emilia e Veneto.

La Regione Lombardia non risulta nella figura che segue, in quanto, come sopra detto, pubblica il file nel formato xml previsto da ANAC limitatamente agli appalti della Giunta: se ne contano meno di duecento e per una Regione è numero non plausibile. Dunque, le informazioni sono insufficienti per valutare e comparare l’Amministrazione lombarda. Tuttavia, considerando che essa pubblica i dati sugli appalti in formato tabellare, è stato scelto di non penalizzarla[3] e di assegnarle uno score basso in questo indicatore e in quello seguente.

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Una Regione può ricorrere alla procedura di affidamento diretto in percentuale elevata sul totale degli appalti, comunque restando su un importo complessivo modesto rispetto a quello del totale delle forniture assegnate con gare di appalto. Per questo, l’indicatore relativo alla percentuale di affidamenti diretti va letto insieme a un secondo indicatore, che verifica gli importi nei termini suddetti.

Si vede, allora, che in Veneto gli affidamenti diretti, da un lato, costituiscono l’88,1% del totale degli appalti, ma, dall’altro, raggiungono un importo complessivo pari al 6,5% dell’importo totale degli appalti. Dunque, non scatta l’alert di cui si è detto sopra.

Lo stesso si può dire per la Valle d’Aosta e per l’Emilia Romagna, che presentano le percentuali più elevate di affidamenti diretti, subito dopo il Veneto, ma con un importo complessivo che non supera per la prima il 17% dell’importo totale degli appalti, e per la seconda il 28%.

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Sardegna e Molise risultano le Regioni con la maggiore incidenza dell’importo complessivo degli affidamenti diretti su quello degli appalti totali, rispettivamente con il 75,9% e con il 67,7%, incidenza che è praticamente la stessa anche in termini di numero complessivo di affidamenti diretti su quello degli appalti totali (rispettivamente 71,1% e 73,6%).

All’opposto, la Basilicata ha la minore percentuale di affidamenti diretti sul totale degli appalti (17,1%) e, al contempo, è tra le prime tre Regioni per il minore importo complessivo di appalti diretti: 0,9% sull’importo totale di tutti gli appalti. Lo stesso si può dire per il Lazio.

L’Umbria rappresenta un’ulteriore casistica: è tra le Regioni che ricorrono meno agli affidamenti diretti sul totale degli appalti (32,1%) e anche tra quelle che vi ricorrono di più in termini di importo complessivo (63,5%).

1.2 Ricorrenza degli aggiudcatari negli appalti

Il ricorso alla procedura di affidamento diretto da parte delle Regioni può essere analizzato anche da un ulteriore punto di vista: la ricorrenza degli aggiudicatari, che, a sua volta, può essere analizzata sia come numero di imprese/professionisti ricorrenti, sia come importo complessivo aggiudicato.

Dunque, due indicatori, di cui il primo verifica se e quante sono le imprese fornitrici che risultano aggiudicatarie di appalti in regime di affidamento diretto più di una volta nell’anno, contando solo gli affidamenti diretti di importo uguale o superiore a cinquemila euro.

Lazio, Calabria e Basilicata, ai primi posti della graduatoria delle Regioni per la minore percentuale di affidamenti diretti sul totale degli appalti, sono ai primi posti anche per il più basso numero di imprese aggiudicatarie ricorrenti, insieme alla Sicilia (7,9%).

Numero basso anche per il Veneto, la Regione con il più alto ricorso agli affidamenti diretti sul totale appalti.

Sul lato opposto della graduatoria, la maggiore ricorrenza di imprese aggiudicatarie appartiene all’Emilia Romagna (49,6%) e alla Provincia Autonoma di Bolzano (42,2%).

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Il secondo indicatore sopra detto analizza la ricorrenza degli aggiudicatari in base all’importo aggiudicato, rapportando il totale delle aggiudicazioni in affidamento diretto, circoscritto a quelle di importo compreso tra 38.000 e 40.000 euro, all’importo totale degli affidamenti diretti nell’anno. Lo scopo è verificare se la ricorrenza di imprese e/o professionisti aggiudicatari di appalti in affidamento diretto sale per gli importi vicini alla soglia oltre la quale è necessario ricorrere ad altra procedura, ad esempio la consultazione di più operatori economici[4].

La tabella seguente mostra che la percentuale di aggiudicatari di affidamenti diretti prossimi alla soglia dei 40.000 euro resta sotto l’1% per undici Regioni: per cinque di esse, anzi, è approssimabile a zero.

La percentuale supera, invece, il 10% per due Regioni: il Friuli Venezia Giulia (12%) e la Basilicata (11,7%).

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1.3 Tempestività dei pagamenti

Per qualsiasi impresa, o professionista, che si è aggiudicata un appalto pubblico è molto importante poter contare sulla puntualità del pagamento da parte della Regione, o altra PA, così da evitare rischi di carenza di liquidità o persino di default. Il citato decreto trasparenza del 2013 ha colto tale importanza, e con l’art. 33 ha disposto che tutte le PA  debbano pubblicare sul proprio sito web “con cadenza annuale, un indicatore dei propri tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture, denominato: «indicatore[5] di tempestività dei pagamenti»”.

In dodici Regioni su ventuno quell’indicatore presenta il segno meno, il che vuol dire che saldano le fatture in anticipo rispetto alla scadenza. Il Lazio è la Regione benchmark, con meno 25 giorni, seguita da Toscana e Liguria con meno 22.

Tra le Regioni del Sud paga in anticipo rispetto alla scadenza solo la Sardegna, con meno 10 giorni.

Secondo quanto stabilito dal d.lgs. 231 del 2002, attuativo della direttiva 2000/35/CE, il pagamento al fornitore da parte delle PA deve avvenire entro 30 giorni (60 per la sanità) dalla data di ricevimento della fattura. Quel limite temporale risulta sensibilmente superato solo da tre Regioni del Sud: Basilicata e Molise, rispettivamente con 88 e 99 giorni, mentre la Campania riesce a stare nei 34.

Per le Regioni contrassegnate in blu nel grafico sotto il ritardo è meno marcato: da 2 a 23 giorni oltre la scadenza.

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[1] L’analisi del Rating Pubblico, effettuata nel primo semestre 2020, si basa sui dati pubblicati dalle Regioni sui rispettivi siti web in base agli obblighi di pubblicazione stabiliti dalla norme vigenti.

[2] Le pagine che seguono sono estratte dal  Rapporto “Le Regioni, un motore da riparare” di P. Caporossi, 2021, Ed. Rubbettino.

[3] La valutazione “n.d.”, cioè “non disponibile”, comporta l’assegnazione di score pari a zero.

[4] Cfr. lettera a) comma 2 art. 36 del d.lgs. 50/2016.

[5] L’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti è calcolato con il metodo della media ponderata, secondo le disposizioni dell’art. 9 del DPCM 22 settembre 2014, che considera, per ciascuna fattura ricevuta, la somma dei giorni effettivi (feriali e festivi) intercorrenti tra la data di scadenza della fattura e la data di pagamento ai fornitori moltiplicata per l’importo dovuto, rapportata alla somma degli importi pagati nel periodo di riferimento.

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L'autore

Paola Caporossi è tra i fondatori di Fondazione Etica, che dirige, oltre che presidente dell’Agenzia Rating Pubblico e coordinatore del GovLoc Lab – Luiss.


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