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23 giugno 2021
Perché il ceto medio cambia ma non scompare
Maurizio Franzini spiega in’unitervista l’evoluzione delle classi sociali. “La classe media numericamente è sempre la stessa da vent’anni – spiega – ma le modifiche della sua composizione spiegano un malessere crescente”. Possiamo avere più o meno lo stesso numero di persone che compongono la classe media, eppure assistere allo stesso tempo a una mutazione della sua composizione.
Intervista di Marco Valerio Lo Prete
“La vittima principale del Covid-19 è stato il ceto medio”, ha sostenuto di recente un rapporto Ipsos. Mentre secondo un altro studio elaborato dal Censis, l’83,5% degli Italiani che ritengono di appartenere al ceto medio crede che ormai sia difficile salire nella scala sociale. Qual è lo stato di salute della classe media? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Franzini, economista dell’Università Sapienza di Roma, che sul tema sta conducendo una ricerca.
A monte c’è un problema di definizione della “classe media”. Cosa rappresenta per l’esattezza? Per rispondere a questa domanda si può scegliere un approccio sociologico, che ritiene centrale il tipo di occupazione delle persone, o un approccio economico che invece si fonda soprattutto sul reddito delle persone. L’approccio sociologico si scontra col problema che quando si confrontano diverse professioni a distanza di anni si finisce per confrontare cose molto diverse fra loro, forse troppo. Per questo ritengo che sia più utile una definizione della classe media basata su reddito e ricchezza.
Come definirebbe allora la classe media dal punto di vista economico?
Prendiamo come riferimento il reddito mediano, cioè quello dell’individuo che è più povero di metà della popolazione e più ricco della restante metà. Dopodiché creiamo un intervallo intorno a questa mediana, includendovi quanti hanno un reddito compreso tra il 75% e il 150% di quello mediano. Se consideriamo il reddito da lavoro, stiamo parlando dunque di redditi individuali compresi all’incirca tra i 15.000 e i 30.000 euro l’anno; volendo approssimare il reddito familiare si tratterebbe, per una famiglia di due adulti che lavorano, di circa 60.000 euro al massimo. Altra definizione possibile è quella di considerare “classe media” quanti percepiscono un reddito pari al 30-60% del reddito medio del 10% più ricco; in questo caso parliamo di individui con reddito da lavoro compreso tra i 35.000 e i 60.000 euro. In questo modo si può fare un confronto coerente anche con altri Paesi europei.
E cosa emerge dal confronto con gli altri principali Paesi europei?
Che nel 2017 il reddito medio della classe media in Italia era inferiore a quello degli spagnoli e degli svedesi, ma leggermente superiore a quello degli inglesi, dei francesi e dei tedeschi. Inoltre, in Italia la classe media è comparativamente meno consistente che in Svezia, Germania e Francia, ma simile a quella del Regno Unito e più ampia di quella della Spagna. Ciò dipende anche dalla diversa altezza e conformazione della disuguaglianza.
A proposito di disuguaglianza, cosa è successo alla classe media italiana negli ultimi anni?
Con i miei collaboratori – Michele Raitano, Francesco Bloise e Francesca Subioli – stiamo studiando in particolare il periodo che va dal 2002 al 2018. Secondo la nostra analisi, la consistenza numerica della classe media italiana non è variata di molto. Quindi possiamo dire che la notizia della scomparsa della classe media è quantomeno esagerata. Anche la quantità di ricchezza nazionale detenuta dalla classe media è rimasta abbastanza limitata, circa il 15% del totale, soprattutto sotto forma di case, anche per una notevole concentrazione nel top della distribuzione. Il cambiamento forse più rilevante che abbiamo osservato risiede piuttosto nell’origine della ricchezza della classe media. Fino a qualche anno fa, sicuramente fino a una generazione fa, la classe media costruiva la propria ricchezza in larga parte attraverso l’accumulazione dei risparmi nell’arco della vita, oggi invece la quota prevalente della ricchezza è frutto di eredità. Altra osservazione, apparentemente controcorrente: le famiglie della classe media con capofamiglia donna hanno avuto un aumento di ricchezza superiore a quello delle famiglie con capofamiglia uomo.
La classe media italiana non scompare, dunque, ma mutano le modalità con cui essa acquisisce ricchezza. Ci sono effetti sulla composizione della stessa classe media?
Questo è un punto decisivo da considerare. Possiamo infatti avere più o meno lo stesso numero di persone che compongono la classe media, eppure assistere allo stesso tempo a una mutazione della sua composizione. L’auto-percezione di sé, tra l’altro, dipende soprattutto dal fatto se sei “salito” all’interno della classe media, provenendo da un ceto più disagiato, o se sei “sceso” nella classe media provenendo da una fascia più ricca. In Italia, negli ultimi anni, è cresciuto il numero di quanti “scendono” nella classe media, andando a rimpiazzare quanti dalla classe media sono scivolati più in basso. Così potrebbe spiegarsi il malumore diffuso, la minore soddisfazione rispetto al proprio status, che albergano in ampia parte del ceto medio italiano. Ma su questo stiamo ancora completando la nostra analisi.
Come si spiega questa dinamica “al ribasso” nella classe media? E poi l’indice di Gini che misura la disuguaglianza, in Italia, non sembra essere aumentato drasticamente…
L’indice di Gini ha un problema: non registra bene le code, diciamo che sono “sotto-campionati” sia i molto poveri sia i molti ricchi. Se invece prendiamo in esame le dichiarazioni dei redditi e facciamo il computo dell’1% più ricco, vediamo che la concentrazione della ricchezza è cresciuta. La quota di reddito nazionale detenuta dall’1% più ricco della popolazione è passata negli ultimi tre decenni dal 6% al 10% circa. Quanto alla dinamica negativa in entrata e in uscita dal ceto medio, formulo solo alcune ipotesi. Una prima sensazione è che un alto numero di impiegati o ex impiegati sia scivolato al di sotto della classe media, e ciò dipende anche dall’assottigliarsi del settore pubblico in cui il numero di occupati è diminuito. In questo tipo di impiego si riversava un numero importante di laureati che guadagnavano abbastanza per diventare classe media, ma il blocco del turnover nella P.A. agli inizia degli anni 2000 ha cambiato le cose. Le professioni impiegatizie, inoltre, sono spiazzate anche dalla “concorrenza” dell’evoluzione tecnologica. Così si può spiegare buona parte dei flussi “in uscita” dalla classe media italiana.