L’istituzione della zona economica esclusiva italiana

24 giugno 2021
Editoriale Open Society
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Coperta dal clamore mediatico e dall’attenzione che hanno comprensibilmente accompagnato nell’ultima settimana lo svolgimento di importanti vertici internazionali, è passata del tutto sotto silenzio la conclusione, nei giorni scorsi, dell’iter legislativo di un provvedimento assai rilevante per gli interessi del Paese: l’istituzione di una zona economica esclusiva. La ZEE è una delle zone marittime di pertinenza dello Stato costiero, riconosciute dal diritto internazionale. Si tratta di una fascia di mare, che si estende per non più di 200 miglia dalla costa (quindi, si protrae per 188 miglia al di là del margine esterno del mare territoriale), nella quale il diritto internazionale attribuisce allo Stato costiero diritti sovrani relativi alla gestione ed allo sfruttamento delle risorse, biologiche e non, della colonna d’acqua (la pesca) e dei fondali marini (risorse minerarie, depositi di gas e di idrocarburi), ma anche diritti connessi con la conduzione di altre attività economiche, come la produzione di energie rinnovabili a partire dall’acqua, dalle correnti marine o dai venti, e di ricerca scientifica, nonché diritti e doveri di protezione dell’ecosistema marino. In questa ampia zona di mare, lo Stato costiero esercita i poteri di polizia finalizzati alla realizzazione dei suoi diritti, potendo fermare, ispezionare ed eventualmente sequestrare navi straniere che violino le sue leggi nei settori di competenza. Gli Stati terzi mantengono alcuni diritti, relativi alla libertà di navigazione e di sorvolo ed alla posa di cavi sottomarini a fini di comunicazione; possono anche avere accesso, sulla base di accordi con lo Stato costiero, ad un quantitativo di pesca stabilito da quest’ultimo.

A differenza della piattaforma continentale, costituita dal prolungamento sottomarino della terraferma, nella quale lo Stato costiero è titolare ipso facto di diritti esclusivi connessi con l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse presenti sui fondali, la ZEE non viene attribuita automaticamente dal diritto internazionale, ma deve essere proclamata dallo Stato con un atto unilaterale, che ne fissi l’estensione entro i limiti massimi stabiliti dalle norme internazionali.

Malgrado sia parte dal 1995 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che disciplina l’istituto precisando i diritti e gli obblighi rispettivi dello Stato costiero e degli Stati terzi, l’Italia non aveva fino ad oggi adottato alcun provvedimento in materia, al contrario di quanto hanno fatto, soprattutto nell’ultimo decennio, i suoi vicini mediterranei: dalla Spagna, alla Francia, alla Croazia, alla Tunisia, al Marocco, all’Algeria (la cui ZEE arriva a lambire le coste sarde), alla stessa Libia, che è per varie ragioni lo Stato frontista più importante per l’Italia e che, nel 2019, ha concluso con la Turchia un accordo sulla delimitazione delle rispettive zone di giurisdizione marittima nel Mediterraneo.

Tale mancanza è dovuta verosimilmente ad una sottovalutazione della rilevanza di questa zona costiera per la tutela degli interessi economici e di sicurezza del Paese e dei cittadini (basti pensare al sequestro di alcuni pescatori siciliani, operato dalla Libia nel dicembre scorso o agli attacchi recentemente subiti dai nostri pescherecci ad opera di navi turche). Probabilmente, ha inciso su questa scelta anche la considerazione dell’ampiezza del Mediterraneo, che non consente l’istituzione di zone economiche di 200 miglia, obbligando gli Stati rivieraschi a concludere accordi di delimitazione delle rispettive zone di competenza. Il provvedimento legislativo tiene conto di questa specificità, stabilendo che, in attesa della conclusione e dell’entrata in vigore degli accordi di delimitazione con gli Stati frontisti o adiacenti, i limiti esterni della ZEE italiana sono definiti in modo da non ostacolare o compromettere il raggiungimento dell’accordo finale (art. 3 della legge). Se non sarà difficile pervenire ad una intesa con i vicini dell’Adriatico e dello Ionio, perfezionando o completando accordi già in vigore relativi alla pesca o alla sicurezza marittima, certamente più complessa sarà l’opera di delimitazione con gli Stati della sponda sud del Mediterraneo. Tecnicamente, la legge approvata in via definitiva il 9 giugno scorso e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 23 giugno, “autorizza” l’istituzione della ZEE, che dovrà essere proclamata con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro degli Esteri. È auspicabile che il Governo dia seguito senza indugi a questa iniziativa parlamentare, sostenuta da tutte le forze politiche presenti in Parlamento. Si tratta di consentire al Paese di precisare finalmente i confini del suo territorio marittimo, anche nei confronti delle pretese di altri Stati, assumendo piena consapevolezza dei diritti (e degli obblighi) esercitabili in conformità con le regole internazionali.

Una volta proclamata, la ZEE italiana ingloberà anche la zona contigua, che l’Italia non ha mai formalmente istituito, dando una base giuridica più solida ai poteri di polizia per il contrasto all’immigrazione clandestina ed al traffico dei migranti, che la Marina militare esercita oggi sulla base della legge Bossi-Fini del 2002. Nella zona contigua, che si estende per ulteriori 12 miglia dal limite esterno delle acque territoriali, il diritto internazionale consente infatti allo Stato costiero di esercitare i controlli necessari al fine di prevenire e punire eventuali violazioni delle proprie leggi in materia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione, commesse sul territorio o nel mare territoriale.

Tag italia, legge

L'autore

Elena Sciso è Professore ordinario di Diritto internazionale alla Luiss Guido Carli  


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