Lost in Translation? La sinistra europea alla ricerca di se stessa
6 settembre 2021
Nel panorama politico dell’Europa occidentale degli ultimi anni è generalmente accettato che i partiti di sinistra, e in particolare i partiti socialdemocratici, abbiano sperimentato un inarrestabile declino elettorale. Giornalisti ed esperti hanno evidenziato il drammatico crollo recente dei partiti socialdemocratici in diversi paesi.
In Francia, il Partito Socialista è sceso dal 29,4% al 7,4% nelle elezioni legislative del 2017. In Germania, il sostegno al Partito socialdemocratico si è dimezzato nel giro di due decenni, dal 40,9% nel 1998 al 20,5% nel 2017, e il partito rischia di essere sostituito dai Verdi come principale forza politica del centrosinistra in campo nelle prossime elezioni il prossimo 26 settembre. La coalizione italiana di centrosinistra ha raggiunto un nuovo record minimo alle elezioni parlamentari del 2018 (23,3%). Simili record negativi dei partiti socialdemocratici si sono verificati in Svezia nel 2018 (28,3%), in Svizzera nel 2019 (16,8), e soprattutto nei Paesi Bassi, dove il partito laburista è crollato al 5,7% nelle ultime due elezioni parlamentari (2017 e 2021). Sebbene in alcuni paesi la caduta socialdemocratica sia stata controbilanciata dall’ascesa dei partiti di sinistra radicale, come in Grecia e Spagna (con, rispettivamente, Syriza e Podemos che hanno sfruttato il declino del PASOK e del PSOE), il quadro generale della sinistra europea è indiscutibilmente cupo.
Sulla base di tali evidenze, gli studiosi di politica comparata stanno studiando i fattori che spiegano la caduta della sinistra dell’Europa occidentale. Fattori che vanno dalla trasformazione della struttura sociale (il restringimento della classe operaia) ai cambiamenti comportamentali (gli elettori vengono mobilitati da questioni post-materialiste che sono trasversali rispetto alle tradizionali lealtà di classe), fino alla moderazione ideologica dei partiti di sinistra e alla convergenza verso posizioni tipicamente di destra (una minore enfasi sugli obiettivi economici tradizionali della sinistra aliena il sostegno della tradizionale base operaia).
Tuttavia, un meccanismo causale decisivo deve ancora essere trovato. Secondo la classica teoria delle fratture sociali di Lipset e Rokkan, la mobilitazione elettorale di sinistra è una funzione della forza della frattura di classe. Quest’ultima può essere misurata empiricamente osservando due elementi principali: la forza del gruppo sociale e la densità organizzativa. La prima si riferisce alle caratteristiche della sua base sociale principale, vale a dire la classe operaia. Più la classe operaia è numerosa e basata sui lavoratori dell’industria, maggiore è il consenso atteso per la sinistra. La seconda invece si riferisce alle componenti corporative e partigiane della frattura, ovvero sindacati e organizzazioni partitiche di sinistra. Più denso è l’incapsulamento organizzativo all’interno dei sindacati e dei partiti politici di sinistra, maggiore è il sostegno elettorale per la sinistra.
Partendo da tali premesse, in un nuovo articolo su Perspectives on Politics, analizzo se i partiti di sinistra sono ancora legati alle loro radici storiche di classe o se, invece, il consenso elettorale per questi ultimi è completamente slegato dalle caratteristiche socio-strutturali e organizzative da cui tali partiti originariamente derivavano.
Il legame tra la frattura di classe e la mobilitazione elettorale di sinistra viene testato attraverso un disegno di ricerca comparato longitudinale che prende in considerazione elezioni parlamentari di 19 paesi dell’Europa occidentale nell’intero periodo successivo alla seconda guerra mondiale (345 elezioni) in modo da offrire una prospettiva diacronica esauriente che va oltre la mera valutazione degli ultimi anni e consente un’analisi accurata dei cambiamenti di lungo periodo.
L’analisi mostra che il sostegno ai partiti di sinistra – comunisti, socialisti, socialdemocratici e laburisti – è rimasto abbastanza stabile dal 1946 al 2010, con una media del 38% e un picco del 40,4% negli anni ’70. In particolare, l’ultimo decennio è caratterizzato da un notevole calo: la quota aggregata di consensi ai partiti di sinistra scende a una media del 31,9% negli anni 2010, e tale calo è ancora più pronunciato se si escludono i paesi dell’Europa meridionale (27,6%). Inoltre, contrariamente a molti studi sul presunto recente spostamento a destra dei partiti di sinistra, un test empirico basato sui dati dal 1945 al 2018 del Comparative Manifesto Project respinge inequivocabilmente l’ipotesi che i partiti di sinistra si siano ideologicamente allontanati dai tradizionali obiettivi economici progressisti. Al contrario, l’analisi mostra che i partiti di sinistra possono ancora essere tranquillamente considerati come i legittimi rappresentanti dei lavoratori nella frattura capitale/lavoro.
Figura 1. Forza del gruppo sociale e densità organizzativa: medie nazionali.
Passando alla parte esplicativa dell’analisi, la Figura 1 mostra che la frattura di classe può assumere configurazioni diverse nei paesi dell’Europa occidentale. Non sorprende che i paesi scandinavi come Svezia e Danimarca, così come l’Austria, mostrino la divisione di classe più forte, mentre Grecia e Irlanda scendono in fondo alla classifica. Tuttavia, i due aspetti potrebbero non convergere e lo sviluppo di fitte reti organizzative (cioè, forti sindacati e partiti di sinistra) non è necessariamente legato alla presenza di una classe operaia consistente e basata sui lavoratori dell’industria. È il caso di Cipro e dell’Islanda, che mostrano organizzazioni relativamente forti in un contesto di classe operaia piccola ed eterogenea, ma anche di Germania e Svizzera, dove la situazione opposta di un gruppo sociale forte va di pari passo con una densità organizzativa relativamente debole. In ogni caso, osservando l’evoluzione nel tempo della frattura di classe riportata nella Figura 2, emerge un quadro generale di declino: la classe operaia si è ridotta di dimensioni ed è diventata meno legata all’industria, mentre i sindacati e i partiti politici di sinistra hanno perso membri. Questo scenario è abbastanza coerente tra i vari paesi.
Figura 2. Evoluzione temporale della forza del gruppo sociale e della densità organizzativa (1946–2018).
Tuttavia, questa tendenza non significa necessariamente che, nonostante il suo peso ridotto nella politica dell’Europa occidentale, la frattura di classe non si traduca più in un sostegno elettorale di sinistra, come avvenne all’origine della mobilitazione elettorale di classe.
Il test empirico dell’associazione tra la frattura di classe e la mobilitazione elettorale di sinistra – controllando per altri fattori sociali, istituzionali e politici che possono influenzare questa relazione – mostra che la frattura di classe ha un impatto significativo sul sostegno elettorale per i partiti di sinistra in Europa occidentale nel periodo 1946-2018. A parità di altre condizioni, una classe operaia consistente e basata sui lavoratori dell’industria e una fitta rete organizzativa aumentano il sostegno elettorale per i partiti di sinistra. Ciò che differenzia in modo sorprendente i due elementi della frattura di classe è l’evoluzione nel tempo del loro impatto sul sostegno elettorale ai partiti di sinistra. Infatti, mentre la forza del gruppo sociale è rimasta un fattore predittivo sostanziale della mobilitazione elettorale di sinistra anche negli ultimi decenni, l’impatto della densità organizzativa – come mostra la Figura 3 – è diminuito drasticamente nel tempo ed è diventato non significativo negli ultimi venticinque anni.
Figura 3. Impatto della densità organizzativa sul sostegno elettorale dei partiti di sinistra nel tempo.
Nota: per maggiori approfondimenti, consultare lo studio dell’autore.
In sintesi, l’analisi ci dice che la frattura di classe non è del tutto “lost in translation”, poiché una classe operaia consistente e basata sui lavoratori dell’industria è ancora oggi un importante fattore predittivo della mobilitazione elettorale di sinistra. Tuttavia, tale mobilitazione non è più mediata dalle organizzazioni corporative e di parte, i vettori originari della frattura di classe. In effetti, l’appartenenza a sindacati e partiti di sinistra non è più associata al sostegno elettorale di sinistra. Questi risultati meritano un’attenta considerazione futura e hanno importanti implicazioni per lo studio delle fratture e delle elezioni. In particolare, sollevano questioni fondamentali sul futuro dei partiti di sinistra e sulle loro radici di classe. Il legame persistente tra le radici socio-strutturali della frattura di classe e la mobilitazione elettorale di sinistra sarà un fattore sufficiente per la resilienza elettorale dei partiti di sinistra, nonostante il collegamento ormai mancante con le radici organizzative della frattura di classe? O, invece, la rottura della cinghia di trasmissione tra densità organizzativa e mobilitazione elettorale di sinistra provocherà nel prossimo futuro una disgregazione elettorale di questi partiti?
Ulteriori ricerche dovrebbero affrontare con attenzione queste domande, la cui risposta è fondamentale per la nostra comprensione della politica di classe e della competizione elettorale nell’Europa del ventunesimo secolo.
Questo contributo è tratto dal seguente articolo: Emanuele, V. (2021). Lost in Translation? Class Cleavage Roots and Left Electoral Mobilization in Western Europe. Perspectives on Politics, 1-19. doi:10.1017/S1537592721000943
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