Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, negli scorsi giorni si è rivolto con inusitata durezza contro le piattaforme social e in generale quei new media che veicolano false informazioni sui vaccini anti Covid-19. Dai più alti livelli politici, dunque, torna a essere sollevata la questione di come gestire l’attuale fase di information disorder.
I primi mesi di vita dell’amministrazione Biden hanno stupito per accelerazioni improvvise e per proposte radicali. Molti si sono accapigliati sulla dimensione dello stimolo, con i trilioni che volteggiavano nell’aria. Ma la radicalità della “Bidenomics” non sta tanto nella quantità, ma nella qualità delle misure di cui si discute.
Il rientro di Biden ai principali consessi multilaterali da cui Trump si era allontanato non vuole necessariamente significare un ritorno alle origini tout court, piuttosto l’inizio di una nuova intesa qualificata in primis dalla difesa dei valori occidentali, basata soprattutto sulla cooperazione più stretta con i partner che condividono lo stesso orientamento liberale.
Il pericolo non risiede nel presidente uscente degli Stati Uniti ma nell’ignorare la rabbia dei suoi sostenitori. Delegittimare le richieste degli elettori di Trump e di altri leader populisti mette a rischio l’ordine democratico. Cè bisogno di porre rimedio alle mancanze delle istituzioni democratiche che causano quest’agitazione feroce e diffusa
La vittoria di Joe Biden ha riaperto la discussione europea sul futuro delle relazioni transatlantiche. Il dibattito americano e quello europeo hanno caratteristiche comuni, oltre ad influenzarsi reciprocamente. Sergio Fabbrini spiega perché.
Ciò che avverrà in America avrà conseguenze inevitabili sul sistema internazionale. L’analisi di Sergio Fabbrini.
L’elettorato di Donald Trump sembra inamovibile, animato da una fede cieca in un leader che si pone come la panacea per le minacce che prevengono dalla globalizzazione
La politica di Donald Trump non ha fatto altro che alimentare il fuoco della polarizzazione sociale ed economica. Ecco perché l’eventuale conferma di Donald Trump il prossimo 3 novembre solleva molti interrogativi sia per gli USA che per il mondo intero.
Negare la crisi sanitaria e utilizzarla per screditare la Cina ha portato gli Stati Uniti a risultati catastrofici. Un’analisi di Carlo Bastasin.
La pandemia del Covid-19 ha dimostrato quanto sia fondamentale avere un’efficiente organizzazione governativa. Appare perciò oggi fondamentale capire la storia della burocrazia federale americana. Un’analisi di Lorenzo Castellani.
Su Luiss Open, dopo i saggi di Luciano Pellicani e Serge Tseytlin sui rapporti storici e le differenze ideologiche tra Europa e Russia, adesso interviene anche lo storico Andrea Ungari. La sua riflessione spazia dai rapporti tra Greci e Regno di Persia a quelli tra Stati Uniti e Cina comunista contemporanea, passando per il secolare espansionismo islamico e le opposizioni che esso ha incontrato
Il politologo Roberto D’Alimonte, numeri alla mano, illustra su Luiss Open quali sono le variabili che decideranno le elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti. Le possibilità dei Democratici e quelle del Presidente in carica. Ipotesi e previsioni, slide e numeri
Morris Fiorina, politologo dell’università di Stanford, sostiene che gli elettori statunitensi sono tutt’altro che polarizzati. A essere ideologizzato e diviso al suo interno è invece l’establishment politico-mediatico. Tutto ciò può favorire Trump nel 2020 e rendere vana la riscossa dei Democratici. Un’intervista con LUISS Open in occasione di un evento organizzato dal CISE. Di Marco Valerio Lo Prete
La contestazione americana, al fondo, rimase sempre spontanea e all’interno dell’alveo liberale. E ciò fu anche merito della strategia dei conservatori d’Oltreoceano che da una parte fronteggiarono gli eccessi radicaleggianti, dall’altra aprirono su maggiore democrazia e diritti civili. Un saggio di Antonio Donno