Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, negli scorsi giorni si è rivolto con inusitata durezza contro le piattaforme social e in generale quei new media che veicolano false informazioni sui vaccini anti Covid-19. Dai più alti livelli politici, dunque, torna a essere sollevata la questione di come gestire l’attuale fase di information disorder.
Nei giorni scorsi sono stati resi pubblici due progetti di riforma fiscale, una dell’Amministrazione Biden e l’altra della Commissione europea. Entrambe sollevano i dilemmi propri della sovranità politica di un’epoca di interdipendenze tra stati. Vediamo di seguito un’analisi del professor Fabbrini.
I primi mesi di vita dell’amministrazione Biden hanno stupito per accelerazioni improvvise e per proposte radicali. Molti si sono accapigliati sulla dimensione dello stimolo, con i trilioni che volteggiavano nell’aria. Ma la radicalità della “Bidenomics” non sta tanto nella quantità, ma nella qualità delle misure di cui si discute.
Nel discorso del suo insediamento, il presidente Biden aveva promesso di distribuire cento milioni di vaccini entro il centesimo giorno della sua amministrazione. È riuscito a farlo in 59 giorni. Oltreoceano, secondo i dati riportati da Statista, il 18 marzo l’Ue aveva invece vaccinato (percentualmente) la metà della popolazione vaccinata negli Usa.
Secondo le stime Ocse-Oecd il titanico sforzo del presidente Joe Biden di scommettere 1900 miliardi di dollari per contrastare la crisi pandemica, potrebbe fruttare un +1% alla ripresa globale, raddoppiare la crescita Usa 2021 dal 3,3% al 6,5%, portando gli Stati Uniti strategicamente avanti all’Unione Europea e al Regno Unito.
L’elezione di Biden offre alle due sponde dell’atlantico una grande opportunità per costruire il futuro delle democrazie liberali occidentali e delle loro economie nella tecnosfera. Ma se Stati Uniti ed Europa non riusciranno a realizzare a breve un accordo su comuni regole sul digitale gran parte del pianeta potrebbe adottare modelli e regole promosse da sistemi autarchici a loro uso e vantaggio.
Il piano di salvataggio dell’amministrazione Biden potrebbe segnare un cambiamento di paradigma. Oltre a quello di rilanciare la domanda, esso ha l’obiettivo dichiarato di iniziare a correggere le disuguaglianze che negli Stati Uniti sono arrivate oltre il livello di guardia. Il piano potrebbe avviare un riequilibrio della distribuzione del reddito verso i salari più modesti, penalizzando i redditi da capitale.
Joe Biden ha parlato con franchezza all’America divisa, non celando i risultati positivi dei primi 50 giorni di governo, ma senza l’ottimismo sfacciato di Donald Trump. Molti analisti sembrano ormai persuasi che l’America abbia perso ogni comune fondamento, solo tribù in guerra tra loro, Repubblicani contro Democratici, Conservatori contro Progressisti. Il Presidente però sembra di diverso avviso: non cede alla retorica populista e parla al paese come fosse unito.
L’American Rescue Plan è la prima ambiziosa mossa del nuovo Presidente USA per arginare gli effetti disastrosi della pandemia. Tuttavia non sarà facile per Joe Biden svolgere il difficile compito di guidare un paese scisso al suo interno e in attrito con altre grandi potenze.
Il decennio che si è appena concluso ha registrato quasi ovunque l’ascesa del nazionalismo come conseguenza diretta di politiche pregresse fallimentari. Tuttavia tale risposta si è rivelata fallace perché è giunta a mettere in discussione le basi liberali delle democrazie di mercato. Il punto di Sergio Fabbrini.
Il pericolo non risiede nel presidente uscente degli Stati Uniti ma nell’ignorare la rabbia dei suoi sostenitori. Delegittimare le richieste degli elettori di Trump e di altri leader populisti mette a rischio l’ordine democratico. Cè bisogno di porre rimedio alle mancanze delle istituzioni democratiche che causano quest’agitazione feroce e diffusa
L’analisi di Sergio Fabbrini sull’insurrezione politica a Washington D.C.
“Le immagini della (fin troppo facile) irruzione dei miliziani trumpiani nel tempio della democrazia americana restano nella memoria collettiva come una ferita non facilmente rimarginabile del tessuto democratico”. L’analisi di Michele Sorice.
Dopo la decisione del collegio elettorale dello scorso 14 dicembre resta un ultimo atto prima che Joe Biden sia proclamato ufficialmente presidente. Il 6 Gennaio la Camera dei rappresentanti e il Senato in una sessione congiunta dovranno ratificare il risultato dei cinquanta stati della federazione. Prima di Trump era un atto solenne ma formale. Il 6 gennaio potrebbe non esserlo.
La vittoria di Joe Biden ha riaperto la discussione europea sul futuro delle relazioni transatlantiche. Il dibattito americano e quello europeo hanno caratteristiche comuni, oltre ad influenzarsi reciprocamente. Sergio Fabbrini spiega perché.
La ridistribuzione geografica del reddito americano è solo la conseguenza di un altro cambiamento che però avviene in silenzio. Bastasin la chiama “divergenza secolare” ed è il motivo per cui Biden ha vinto le elezioni.
Nel discorso della vittoria, Biden ha pronunciato parole concilianti, di unità, e d’amore, costellate di allusioni bibliche, prima di concludere con un popolare inno cattolico, On Eagle’s Wings, ispirato dal Salmo 91. Inoltre, in campagna elettorale Biden non aveva trascurato affatto il fattore religioso. Un’indagine sul voto cattolico negli Stati Uniti, fino ad ora sottovalutato, ma che invece potrebbe essere stato decisivo.
Lorenzo De Sio analizza a bocce ferme i risultati delle elezioni per la Casa Bianca e i principali sondaggi della vigilia. Le tendenze ben individuate, la vittoria netta di Biden su Trump correttamente prevista, gli errori che però non si possono nascondere e i motivi di un apparente “bias” pro Democratici
Joe Biden sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti. La sua elezione, letta con le lenti dell’analista politico, non cancella una serie di problematiche che caratterizzano la realtà americana contemporanea. Il policy brief di Lorenzo Castellani.
Il popolo statunitense ha decretato la vittoria di Joe Biden e diversi referendum a livello statale o cittadino concomitanti alle elezioni presidenziali hanno dato spazio ad “un’agenda politica progressista”. È però innegabile che circa la metà dell’elettorato si identifica nei valori e nelle politiche di Donald Trump.
“Per comprendere le conseguenze che la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali americane potrebbe avere sulla politica estera europea, è necessario prima di tutto delineare le caratteristiche qualificanti della presidenza del suo predecessore nell’arena internazionale e le loro implicazioni”. Il punto di Maria Giulia Amadio Vicerè
Joe Biden è il nuovo Presidente degli Stati Uniti, ma il nocciolo duro trumpiano, tradizionalista, territorializzato e anti-globalista non è stato convinto dal messaggio progressista di apertura e integrazione dei gruppi sociali e resta persuaso dalla retorica anti-establishment e nazionalista del presidente uscente. Il punto di Lorenzo Castellani e Giovanni Orsina.
Criticabili o meno le politiche perseguite dal presidente Trump non sono estranee al conservatorismo americano. Invece, ciò che è estraneo, è il suo modus operandi. L’analisi di Sergio Fabbrini.
Luiss Open ha chiesto al politologo Roberto D’Alimonte di indicarci alcune delle più importanti variabili in gioco per capire chi stasera si aggiudicherà la Casa Bianca tra il Presidente uscente Trump e lo sfidante democratico Biden. Tra i temi da tenere sotto osservazione: gli Stati in bilico, il fattore affluenza e il ruolo dei giovani.
Le elezioni presidenziali americane del 3 novembre saranno seguite dall’Europa con grande intersse. Basandosi su recenti dati di sondaggio originali, Davide Angelucci, Lorenzo De Sio, Morris P. Fiorina e Mark N. Franklin illustrano la sfida che attende Donald Trump nel suo tentativo di rielezione.
Le elezioni presidenziali USA sono un puzzle e allo stesso tempo una lotteria. Il punto di Roberto D’Alimonte
Ciò che avverrà in America avrà conseguenze inevitabili sul sistema internazionale. L’analisi di Sergio Fabbrini.
La politica di Donald Trump non ha fatto altro che alimentare il fuoco della polarizzazione sociale ed economica. Ecco perché l’eventuale conferma di Donald Trump il prossimo 3 novembre solleva molti interrogativi sia per gli USA che per il mondo intero.
L’esito delle elezioni che si terranno in America tra due mesi avrà conseguenze sul mondo intero per anni a venire. Il punto di Sergio Fabbrini.