L’Unione Europea boccia la Manovra dell’Italia e la prospettiva di una procedura di infrazione sul debito nei confronti del nostro Paese si fa assai concreta. Il governo gialloverde, per conto suo, non sembra intenzionato a desistere dalla “sfida all’Europa”. Quali dinamiche spiegano questa ostinazione? L’insistenza sulla riduzione del debito pubblico può essere sbagliata? Qual è la vera portata della Manovra? Le risposte nell’analisi di Francesco Saraceno
Il nostro sistema tributario non è esente da problemi, dunque semplificazione e alleggerimento dell’Irpef sono obiettivi condivisibili. Ma il feticcio dell’aliquota unica crea problemi di progressività, di redistribuzione della ricchezza e rischia pure di bloccare ulteriormente la (già minima) mobilità inter-generazionale in Italia
Nicola Rossi interviene nel dibattito lanciato su LUISS Open da Francesco Saraceno. L’economista smonta molti dei pregiudizi sulla tassa piatta e spiega perché sarebbe fattibile e decisamente virtuosa. A patto che si inserisca in un ridisegno complessivo del sistema fiscale e che proceda di pari passo con un alleggerimento della presenza dello Stato nell’economia italiana
Perché la prossima manovra finanziaria non potrà permettersi di superare un deficit pubblico al massimo dell’1,5-1,6% del Pil. Un nuovo studio dell’economista Marcello Messori per la LUISS School of European Political Economy mette a confronto le promesse dell’esecutivo, gli impegni assunti dall’Italia a Bruxelles e la mediazione del ministro dell’Economia Tria. Da qui il calcolo dei margini di spesa effettivamente consentiti. Un’anticipazione su LUISS Open
Una prima riflessione di Francesco Saraceno, autore di “La scienza inutile” (LUISS University Press 2018), sul piano di investimenti del Governo e sull’importanza di analizzare sia cicli economici che la capacità degli investimenti di mobilitare risorse fin qui inutilizzate e di generare spesa aggiuntiva per consumi e per investimenti privati. In questo contesto, sono da evitare gli “opposti fondamentalismi” che rifiutano di considerare la complessità dell’economia