“La pandemia non è finita. Anche quando lo sarà avremo a che fare a lungo con le sue conseguenze. Una di queste è il debito”, così dice Mario Draghi nel discorso tenuto all’Accademia dei Lincei. Già oggi, in Italia, il debito pubblico è balzato a circa il 160 per cento del Pil. Ecco il punto di Sergio Fabbrini.
Si è da poco concluso il Consiglio europeo dei capi di governo dei 27 stati membri dell’Ue e, in due giorni, ha discusso i principali temi dell’agenda europea. Grazie al prestigio e alla competenza del premier Mario Draghi, l’Italia ha partecipato attivamente al dibattito intergovernativo. Non giochiamo più di sponda, ma avanziamo proposte per influenzare la discussione. Tutto bene, dunque? Non proprio. Ecco perché.
Nelle sue Considerazioni finali il Governatore Visco ha sottolineato i nessi che legano il ripristino di un ordine internazionale, l’evoluzione degli assetti istituzionali europei e la capacità italiana di superare i numerosi ‘colli di bottiglia’ che si frappongono alla crescita. Il punto di Marcello Messori.
La professoressa Puntscher-Riekmann, del Centre of European Union Studies di Salisburgo, ci illustra perché su Patto di Stabilità e debito in comune si arriverà a un compromesso. “I Paesi ‘frugali’ del Nord fanno resistenza, ma i Paesi del Sud come l’Italia hanno già accettato molte condizionalità”.
Per alcuni la pandemia ha messo in discussione gli equilibri di politica economica precedenti. Per altri ha prodotto una crescita impetuosa del debito pubblico che, tuttavia, va ricondotto prima possibile all’interno del precedente modello di politica fiscale. L’esito di questa contrapposizione definirà il futuro dell’Unione.
La preparazione del Piano di ripresa e resilienza ha monopolizzato il dibattito degli scorsi mesi, al punto da diventare una sorta di alfa e omega della politica economica italiana ed europea del dopo Covid. Ora i piani nazionali (ognuno con le sue luci e ombre) sono stati presentati alla Commissione e saranno verosimilmente approvati; è importante che si inizi a riflettere sulle sfide dei prossimi anni e sugli strumenti da mettere in campo per farvi fronte.
La Corte costituzionale tedesca ha sospeso la ratifica del Next Generation Europe in seguito al ricorso di Bernd Lucke, fondatore del partito di estrema destra Alternative für Deutschland, che lamentava in primo luogo la violazione della responsabilità di bilancio propria del Parlamento tedesco e ritenendo che l’indebitamento violasse il diritto dell’Unione. Che cosa comporta tutto questo per la Germania e per l’Europa intera?
Tra due settimane dovremo inviare alla Commissione europea il Piano nazionale di ripresa e resilienza, uno strumento cruciale per promuovere l’Italia della prossima generazione. Nei giorni scorsi, il premier Draghi ha incontrato i partiti che sostengono il suo governo per sentire le loro proposte sul Pnrr. Una scelta dovuta, in una democrazia parlamentare, anche se è bene ricordarsi che il governo nasce dalle difficoltà progettuali di quei partiti.
Come ha ribadito la stessa Angela Merkel durante il dibattito al Bundestag, Next Generation EU è un programma ad hoc “che si concluderà nel 2026”. La possibilità di trasformare NG-EU nell’antesignano di un bilancio europeo, espressione di una capacità fiscale indipendente dai trasferimenti finanziari dei governi nazionali, è dunque esclusa dall’attuale cancelliere della CDU.
Un’indagine internazionale condotta a inizio febbraio (prima dell’incarico a Draghi) in Francia, Germania, Italia e Regno Unito da Opinionway per il Centro di ricerche politiche di SciencesPo a Parigi, in joint venture con il CISE rivela che gli italiani sarebbero più sfiduciati e preoccupati per l’economia ma aperti all’Ue e al mondo.
Il 2020 è stato un anno nel quale il ruolo svolto da alcune donne, per rafforzare il disegno comune europeo, per combattere la pandemia, per consolidare lo Stato di diritto, merita un particolare apprezzamento. Ecco perché.
Dopo mesi di complessi negoziati tra il Consiglio e il Parlamento Europeo, sembrava che il 5 novembre si fosse finalmente trovato un accordo per sbloccare il bilancio europeo per il periodo 2021-2027 e il Fondo per la Ripresa. Il dossier si è tuttavia incagliato sul veto di Polonia e Ungheria, che hanno ritenuto inaccettabile la condizionalità legata allo Stato di diritto. Il veto evidenzia l’inadeguatezza del quadro normativo europeo proprio riguardo all’insieme di valori sui quali l’Unione è stata costruita. Come riuscire a superare l’ostacolo?
L’accordo faticosamente raggiunto in Europa sul Recovery Fund assegna all’Italia una dote importante di risorse, ma il prossimo passo è presentare riforme essenziali a consentire un recupero strutturale dei ritardi che il nostro paese ha accumulato nelle ultime tre decadi dai partners europei. Il punto di Giorgio Di Giorgio.
Il prossimo 17-18 luglio si terrà una riunione del Consiglio europeo per decidere (se ci riuscirà) la direzione che l’Ue dovrà prendere per la ricostruzione post-pandemica. Quella decisione dovrà essere presa all’unanimità, ma gli stati hanno interessi e visioni nazionali divergenti. L’analisi di Sergio Fabbrini
Luiss Open ha chiesto al professore Marcello Messori, economista e Direttore della Luiss School of European Political Economy, di aiutarci a fare chiarezza sul Recovery Fund e sulle prossime sfide per l’Italia. Ecco una sua guida ragionata per sfatare luoghi comuni e pregiudizi
La Brexit proietta una lunga ombra che influenzerà senza dubbio le generazioni future. Nel dibattito, le necessità della democrazia sono state invocate da entrambe le parti coinvolte. Ma quando si tratta degli interessi delle generazioni future, la democrazia è stata trovata all’altezza? Thomas Tozer, autore di “Un nuovo contatto intergenerazionale” (Intergenerational Foundation) ci guida attraverso alcune considerazioni.
Era il 1941 quando Altiero Spinelli, nella piccola isola italiana di Ventotene, stava mettendo a punto un programma per l’unione politica dell’Europa dopo la sconfitta dei nazisti. L’euro sarebbe stata la premessa necessaria affinché gli Stati europei superassero i conflitti storici per diventare definitivamente un’Unione. Negli anni però la moneta unica ha perso sempre più credibilità fino ad arrivare ad essere percepita come l’unico grande problema del continente.