Pragmatismo e forte radicamento alla fattualità dei provvedimenti varati, sobrietà nell’uso dei codici autorappresentativi, capacità di sintesi tra diversi format comunicativi: sono alcuni degli elementi che caratterizzano la comunicazione del Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Un’analisi di Francesco Giorgino.
Il coperchio che la pandemia ha messo sulla politica si sta allentando per due motivi. Il primo è che cominciamo finalmente a intravedere il ritorno a una normalità relativa. Il secondo è che su lockdown e vaccini la discontinuità fra Draghi e Conte, benché tutt’altro che inesistente, è stata tuttavia modesta. Questo doppio meccanismo disincentiva i partiti – soprattutto quelli che con Conte erano all’opposizione – dal subordinare i propri interessi a quelli del governo. Vediamo come e perché.
Tra due settimane dovremo inviare alla Commissione europea il Piano nazionale di ripresa e resilienza, uno strumento cruciale per promuovere l’Italia della prossima generazione. Nei giorni scorsi, il premier Draghi ha incontrato i partiti che sostengono il suo governo per sentire le loro proposte sul Pnrr. Una scelta dovuta, in una democrazia parlamentare, anche se è bene ricordarsi che il governo nasce dalle difficoltà progettuali di quei partiti.
Il premier italiano ha rilanciato la proposta degli eurobond. L’introduzione di un debito congiunto è sicuramente un vantaggio per il nostro paese, ma può esserlo anche per chi fino a oggi si è opposto. A iniziare dalla Germania.
L’attuale governo presenta sia elementi di continuità che di discontinuità con le precedenti esperienze di governi tecnici. Ecco cosa lega l’esperienza di Draghi al passato, ma soprattutto cosa la rende diversa.
Tra movimenti populisti e Mario Draghi è stato siglato “un nuovo compromesso storico” replicabile anche in altri Paesi, dice a Luiss Open il professore Tassinari. I populisti erano in cerca di soluzioni di governo, i tecnocrati in cerca di legittimazione. Cosa ne rimarrà dopo la legislatura? I due scenari più probabili: “mainstreaming del populismo” o conventio ad excludendum.
Il giornalista e studioso californiano, che conosce bene Mario Monti e Davide Casaleggio, dice a Luiss Open che “il tandem tra democrazia diretta e tecnocrazia fondata sulla competenza può ricucire le divisioni dell’Italia e far avanzare le riforme”.
Il premier esorta a concepire l’Unione come una federazione di repubbliche che rispecchi l’interdipendenza di fatto tra gli stati e non come una cessione di autorità tout court. La ripresa post pandemia dipenderà dal grado di coesione tra l’Italia e le istituzione europee.
Una delle principali sfide del nuovo Governo italiano sarà costituita dalla scelta di modalità e forme con cui attuare le politiche di Next Generation Eu, programma straordinario di sostegno all’economia da parte dell’Unione europea, più comunemente noto come Recovery Fund. A quali modelli potrebbe ispirarsi il Presidente del Consiglio? La storia italiana può fornirci qualche indizio.
Con l’intervento al Senato, Draghi ha dato al suo gabinetto un’indiscutibile impronta politica, sebbene il Presidente Mattarella avesse chiesto un governo che non si identificasse «con alcuna formula politica». Un governo con formula politica fondato su una maggioranza senza formula politica è destinato a mettere sotto forte pressione i partiti che lo sostengono.
La semiotica, in quanto scienza che studia i segni, può essere un supporto valido per indagare il modo di comunicare di Mario Draghi. Un’analisi accurata dei discorsi del neo premier.
In meno di tre anni l’Italia ha visto due governi politici. Con la nomina di Draghi ci si interroga su come sarà la formazione del nuovo governo e si evince che politica italiana continua a non saper gestire le situazioni di crisi.
In questo momento della storia politica del nostro Paese il dibattito è polarizzato intorno alle posizioni di chi sostiene il governo tecnico e chi invece afferma la necessità di un governo politico. Nessuna delle due posizioni è del tutto corretta
Nel maggio del 2013 la Luiss ha conferito a Mario Draghi la laurea honoris causa in Scienze politiche (indirizzo di Relazioni internazionali). Tale scelta voleva premiare la straordinaria capacità, dimostrata in più occasioni da Draghi, di affrontare e risolvere complessi e decisivi nodi di policy mediante la combinazione di prospettive diverse e, spesso, in potenziale tensione.
Quando Mario Draghi ha lasciato la testa della BCE, nel novembre del 2019, su una cosa i molti estimatori e i pochi detrattori del presidente della BCE si sono trovati d’accordo: durante gli otto anni in cui ha condotto la politica monetaria dell’Euroz …
“In queste ore un pò da tutte le parti viene evocato il nome di Draghi come leader del governo che dovrà affrontare la crisi economica. Ma che può fare Draghi da solo?” Il punto di Roberto D’Alimonte sui possibili scenari politici italiani nel post Coronavirus
Mario Draghi, sul Financial Times, ha fornito un contributo interessante al dibattito sulle politiche di contrasto alla pandemia del Coronavirus. Cosa si può evincere dall’analisi del rimpianto ex presidente della Bce? Una riflessione di Francesco Saraceno per Open.
L’economista Pierpaolo Benigno risponde a Daniel Gros che si è detto scettico sugli effetti del Quantitative easing sulla ripresa dell’Eurozona. Poi apre all’ipotesi di una ristrutturazione del debito pubblico italiano, purché essa sia unita a un ridimensionamento di spesa e tasse (e avvenga in un quadro europeo)