Il tempo della riforma tributaria sembra avvicinarsi e la “progressività” destinata ad esserne tra i principi guida. Ma la questione non è di rendere il sistema ancor più progressivo, anche attraverso un indesiderabile inasprimento dell’imposta successoria, bensì di porre fine alle attuali distorsioni.
La strategia dell’UE nel campo della lotta al cambiamento climatico è stata descritta nel Green Deal europeo, uno strumento che ambisce a trasformare l’UE in una societaà dotata di un’economia green, efficiente e competitiva. Raggiungere questo obiettivo non è facile, ma non impossibile.
Una delle priorità fondamentali del nuovo governo italiano è quella di evitare che scattino le cosiddette “clausole fiscali”. Un incremento delle aliquote Iva, però, potrebbe essere un’opportunità piuttosto che un pericolo da evitare.
Il nostro sistema tributario non è esente da problemi, dunque semplificazione e alleggerimento dell’Irpef sono obiettivi condivisibili. Ma il feticcio dell’aliquota unica crea problemi di progressività, di redistribuzione della ricchezza e rischia pure di bloccare ulteriormente la (già minima) mobilità inter-generazionale in Italia
Nicola Rossi interviene nel dibattito lanciato su LUISS Open da Francesco Saraceno. L’economista smonta molti dei pregiudizi sulla tassa piatta e spiega perché sarebbe fattibile e decisamente virtuosa. A patto che si inserisca in un ridisegno complessivo del sistema fiscale e che proceda di pari passo con un alleggerimento della presenza dello Stato nell’economia italiana
In Italia, alla vigilia della Legge di Stabilità che presto si inizierà a discutere in Parlamento, si torna a parlare della “tassa piatta”. Un modello su cui gli economisti si interrogano da anni. Faciliterà il contribuente o danneggerà i più poveri? Rilancerà la crescita o scasserà i conti pubblici? L’economista Francesco Saraceno avvia il dibattito su LUISS Open. Parteciperanno economisti ed esperti
Perché un sistema fiscale mal congegnato, oltre a fare acqua da molte parti, frena il nostro paese nella competizione internazionale. Le lacune del “controllore” europeo